made in italy

made in italy non racconta una storia. Affronta in modo ironico, caustico e dissacrante le contraddizioni del nostro tempo. Lo spettacolo procede per accumulo. Fotografa, condensa e fagocita quello che ci circonda: i continui messaggi che ci arrivano, il bisogno di catalogare, sistemare, ordinare tutto. Procede per accostamenti, intersezioni, spostamenti di senso. Le scene non iniziano e non finiscono. Vengono continuamente interrotte. Morsicate. Le immagini e le parole nascono e muoiono di continuo. Gli attori non recitano. La musica è sempre presente e detta la logica con cui le cose accadono.

Come in un video-clip.
made in italy è un groviglio di parole.
É un groviglio di tubi luminosi.
É un groviglio di icone.
Per un teatro pop.
Per un teatro rock.
Per un teatro punk.
Un teatro carico di input e di immagini: sovrabbondante di suggestioni, ma privo di soluzioni.
mio padre è comunista e considera la gente una massa di coglioni
Massimiliano si è preso otto anni per spaccio e teme per l’effetto serra
mio zio è ignorante e sa tutto
casini non può essere alleato con un gruppo parlamentare denominato lega per
l’indipendenza della padania quindi gli chiede di cambiare nome
il presepe è la famiglia
se lo stato non fosse burocrazia sarei un cittadino
se l’ideologia non fosse scissa dalla realtà sarei ideologico
se la chiesa non esistesse sarei cattolico

CREDITI

PREMIO SCENARIO 2007
Nomination ai Premi Ubu 2008 come Miglior Novità Italiana/Ricerca Drammaturgia
PREMIO VERTIGINE 2010

di e con Valeria Raimondi Enrico Castellani
scene Babilonia Teatri/Gianni Volpe
costumi Franca Piccoli
luci, audio e movimenti di scena Luca Scotton
organizzazione Alice Castellani
foto di scena Marco Caselli Nirmal
coproduzione Babilonia Teatri/Operaestate Festival Veneto
con il sostegno di Viva Opera CIrcus/Teatro dell’Angelo

“Il Nord Est italiano ritratto come fabbrica di pregiudizi, volgarità e ipocrisia; straordinario produttore di luoghi comuni sciorinati come litanie, e di modelli famigliari ispirati al presepe ma pervasi da idoli mediatici, intolleranza, fanatismo. Il made in Italy è un prodotto dozzinale e tragicamente umoristico, raccontato in uno spettacolo apprezzabile per compiutezza, in cui la comicità non è ottenuta dal meccanismo televisivo della barzelletta, ma dalla durata dell’elenco e dalle impercettibili ma fortissime variazioni, grazie a una sensibilità per le virtù e le potenzialità della parola che si fa maestria del contrappunto musicale. Strutture verbali semplici ma efficacissime fanno sbottare il riso e la percezione del non senso, in un lavoro che coniuga sapientemente stilizzazione interpretativa e parossismo gestuale. Con un ritratto spietato delle “sacrosante” manifestazioni del tifo calcistico e delle telecronache enfatiche e patriottarde, normalmente rese impercettibili dalla generale assuefazione. Un lavoro dove si infrangono con sagacia e leggerezza tabù e divieti, per rilanciare anche il teatro oltre gli schemi e i conformismi.”

Motivazione della giuria Premio Scenario

“Fin dal titolo “Made in Italy”, il lavoro del gruppo Babilonia Teatri mostra una coscienza profonda della dimensione teatrale. Un artista è necessariamente parte della società: “Made in Italy” rappresenta sia una autoanalisi del proprio essere un gruppo di teatro italiano, sia un modo di rispecchiare importanti temi del nostro tempo. Babilonia Teatri li affronta con gli strumenti specifici del teatro. Questa produzione non fornisce risposte didattiche a questioni cruciali di ordine sociale, piuttosto offre un ripensamento del teatro stesso. Il modo con cui viene usato il linguaggio, recitato il testo, mosso il corpo sulla scena e l’utilizzo dello spazio, del suono e della luce, sono indici di maturità contemporanea e di un approccio unico, apprezzati dalla giuria internazionale.”

Motivazione della giuria internazionale del Premio Vertigine, presieduta da Nicole Petit (KVS – Royal Flemish Theatre, Brussels)

RASSEGNA STAMPA

Il Premio Scenario non sbaglia un colpo introducendo nel giro nazionale gruppi nuovi per il loro modo di affrontare il teatro, ma anche per le provenienze. A sorpresa dal Veneto, dalla provincia di Verona, ci arriva quest’anno Babilonia Teatri con made in italy scritto, diretto e interpretato da Enrico Castellani e Valeria Raimondi, anteponendo al gusto di raccontare una storia quello di darci un condensato di luoghi comuni, espressioni di intolleranza che denunciano con violenza il disagio di vivere nell’ignoranza supponente e nel culto della banalità al potere nel nostro paese. Ma questi temi facili i nostri due artisti ce li montano con ammirevole abilità nel comporre insensate filastrocche di idiozie pluritematiche con ritmi vorticosi nell’espressività diretta di una scena di tubi luminosi, tra musiche a pioggia: una sorta di videoclip recitati dal vivo che cedono alla vena documentaristica nella proposta di un insensato servizio televisivo sui funerali di Pavarotti, ma si esaltano in raccolte di giuramenti più o meno rituali, di autointerviste, di giochi di parole, di fantasiose antologie regionali della bestemmia e annunci pubblicitari in uno sfrenato gioco sulla nostra idiozia quotidiana.

Approda a Roma Babilonia Teatri: un giovane ma già stimatissimo gruppo veronese composto da due persone, come la maggior parte dei nuovi gruppi. Si comincia in due, poi se le cose vanno bene i gruppi di ricerca si infoltiscono, ampliano il territorio del proprio intervento. Di Babilonia Teatri gli autori/attori sono Valeria Raimondi e Enrico Castellani. All’Auditorium hanno presentato il loro primo e più noto spettacolo, «Made in Italy», che vinse il premio Scenario 2007. in seguito hanno realizzato «Pornobboy» e «Pop Star». Ma è opportuno prima riferire del contesto in cui abbiamo potuto farne la conoscenza: un premio organizzato da Giorgio Barberio Corsetti. Sono stati selezionati 15 gruppi e ben 35 operatori provenienti da tutto il mondo hanno ieri assegnato proprio a «Made in Italy» come migliore dei concorrenti il premio di 10.000 euro. Si tratta di un’opera di promozione, verso teatri stranieri, di gruppi italiani che da noi non hanno udienza, o ne hanno ben poca. I 15 spettacoli li si sono potuti vedere nei palcoscenici dell’auditorium, a partire dal tardo pomeriggio e nell’arco di tre giorni. Ma per venire a «Made in Italy», dico subito che la fama di questo spettacolo è strameritata. Capita raramente di incontrare dei giovani così indifferenti a se stessi e, invece, così attenti alla realtà che li circonda. Di più: così percettivi, così cattivi, così all’altezza (nella critica) del disastro italiano, se non del suo orrore. Il punto d’osservazione è il linguaggio. Raimondi e Castellani non dicono niente di più di ciò che noi tutti i giorni diciamo. Che cos’è il made in Italy se non un’interminabile sequela di luoghi comuni, di ipocrisie e di menzogne?

Lo spettacolo si compone di sei scene. Alle spalle dei due interpreti, che all’inizio appaiono ingenui e nudi come Adamo ed Eva, c’è una luminaria da cui spicca una semplice mela. Nelle scene successive la luminaria offre immagini cangianti e tra una scena e l’altra i due si esibiscono (moderatamente) in una gestualità coatta non meno delle parole riepilogate, montate e tagliate in versi. Ecco, il segreto di «Made in Italy» è il montaggio di frasi che ovunque si ascoltano, per strada o provenienti dai pulpiti laici e religiosi, ne risulta un effetto dirompente, di sferzante umorismo, di sprezzante ferocia satirica. La scena numero 3, intitolata «La sacra famiglia», è tutta giocata sulle variazioni del numero 3 in un grande pezzo di letteratura, o di poesia, quale raramente si ascolta o si legge, nelle nostre scene o nei veri e propri libri di versi.

A testimonianza di un momento di grandissima vitalità della nostra scena, in cui nasce una quantità di giovani gruppi già dotati di una propria personalità e di un proprio linguaggio, andate a vedere made in italy, lo spettacolo di Babilonia Teatri che ha vinto il Premio Scenario nel 2007, e dopo aver girato per un gran numero di festival e rassegne è ora approdato al Teatro dell’Arte di Milano: è raro vedere una nuova realtà capace di uno stile così spiazzante e innovativo, così controcorrente rispetto alle tendenze oggi diffuse.

Mentre la maggio parte delle altre formazioni lavora sulla ritualizzazione del quotidiano o sulla sua esasperazione visionaria, loro optano per un pungente autoritratto satirico dell’Italia attuale, coi suoi vizi, le sue cadute di gusta, la sua assenza di valori. Mentre gli altri cercano di intrecciare teatro, danza, arti visive, loro puntano unicamente alla forza creativa ede eversiva della parola. Per giunta ( e l’ossevazione non suoni campanilista ) in una fase in cui il meglio viene dal Sud, raccontano con estro e cattiveria il Nord Est, la loro terra.

made in italy ( e già il titolo è una sintesi perfetta ) è uno spettacolo apparentemente fatto di nulla, tubi al neon, musiche martellanti e due attori -un uomo e una donna- che, per lo più immobili, protesi verso il pubblico lo investono con una serrata partitura verbale. Il testo, che alterna l’italiano al dialetto veronese, compone un caustico affresco di ciò che siamo usando solo spezzoni della parlata di ogni giorno, luoghi comuni, invettive razziste, slogan pubblicitari, ridotti a vacue filastrocche, macinati in un gioco di pure assonanze. L’impossibile impasto linguistico -monolocale o monovolume, baby bell e baby doll- coglie come in vitro l’immagine di un Paese volgare,schiavo di mode e pregiudizi, falsamente pio ma sempre pronto ad accanirsi contro albanesi, negri ed ebrei. Questa scrittura informale non ha nulla di cabarettistico: certe ossessive elencazioni, certe nudità, certe sonorità esagitate rimandano piuttosto a Rodrigo Garcia. E forse in effetti l’artista argentino è stato fra i modelli degli autori-interpreti, Enrico Castellani e la bravissima Valeria Raimondi.

Il gelido distacco dell’enunciazione non tragga in inganno: anche se privo di struttura , il canovaccio è regolato da un crescendo precisissimo, e ricco di invenzioni: oltre agli extracomunitari che parlano la loro lingua ma bestemmiano in italiano, è davvero folgorante-nella sua oggettività- l’emblematico passaggio fa Fabio Caressa che celebra la nazionale campione del mondo al funerale di Pavarotti. E quel finale silenzioso, con la luce che cala su una folla di Biancanevi e nani da giardino, è impeccabile, un piccolo capolavoro.

La vera grandissima sorpresa viene dal riuscito lavoro realizzato dai veronesi Babilonia Teatri, con il loro durissimo made in italy, spaccato in forma di invettiva rap sui luoghi comuni dell’italico nord-est malato di sfrenato consumismo, razzista, bestemmiatore e ossessionato da distorti valori pseudo-cattolici e intolleranza leghista (famiglia, matrimonio, figli, tasse, soldi, puttane, immigrati). L’invettiva tiene egregiamente, più cattiva che mai, ampliando il raggio d’azione ai topoi unificanti del Belpaese, dai mondiali di calcio ai funerali di Pavarotti (geniale la registrazione “drammatizzata” di un demenziale servizio tv) alle canzoni nazional-popolari di Venditti.Un successo di pubblico enorme quanto meritato.

Non a caso si chiamano Babilonia, Babilonia Teatri, Valeria Raimondi ed Enrico Castellani, due giovani veronesi che l’altra sera al palamostre hanno presentato per la stagione di Contatto il loro ultimo lavoro, quel made in italy con cui hanno vinto il Premio Scenario e con il quale allestiscono una laicissima, anche blasfema, giaculatoria sulla nostra povera Itala. E, il loro, uno sguardo disincantato e anarchico, pop e rock, ma anche punk e trash, che dall’opulento e stravolto nordest arriva ad investire tutto il nostro presente. Così come disincantato e anarchico è lo spettacolo, che non mette in scena una storia, un plot, una narrazione, un’invettiva, ma una macchina verbale che frulla in cinque martellanti sequenze tutti i luoghi comuni, i pregiudizi, i miti insomma di quell’immenso immondezzaio di banalità e idiozie che informa il nostro quotidiano all’inizio del terzo millennio. Una sorta di Babilonia, appunto, in cui tutto sembra sempre sul punto di disfarsi, di perdersi in un vuoto desolante di senso e prospettiva. Un eterno presente in cui tutto è il contrario di tutto, non ci sono valori, storie, ideali, radici che tengano nel rosario di pensieri frammenti detti che i due sgranano implacabili e senza inflessione alcuna: tutto spazzato via dal vento impetuoso e caotico della contemporaneità e delle sue macroscopiche contraddizioni, come nella sequenza finale quando un grande ventilatore fa piazza pulita dei cumuli di carta, poco prima piovuti dall’alto a simulare la festa per la vittoria della nazionale italiana ai mondiali di calcio, e dei tanti nanetti e Biancaneve color beigiolino smunto che affollavano il palcoscenico. A loro-efficacissima immagine della serialità e dell’omologazione della società dei consumi-era affidata, su nastro registrato, anche l’ultima litania, quella dedicata al soldo, all’accumulo, a quel dio denaro cui tutto si deve sacrificare. Litanie, come incalzante elenco di parole e pensieri in libertà uniti da improbabili associazioni di senso o da più consuete e scontate assonanze, quasi dei lunghi rap che sostituiscono dialoghi e monologhi. La prima una sfilza di giuramenti e buoni propositi, accompagna i nostri nudi e pudichi in una metropolitana cacciata dall’Eden come nell’affresco del Masaccio, per precipitare poi nel Veneto non più contadino, dove bestemmie ataviche si intrecciano con le paure, le intolleranze di nuovi improvvidi ricchi. E ancora lunghi elenchi di cerco e offro secondo quella logica mercantilistica che tutto trita e annienta, anche le istituzioni più sacre come quella della famiglia, precedentemente sbertulata con lui incoronato di aureola e lei col cuore in mano e una cometa in cielo, un santino irriverente e sarcastico. Come sarcastici-e giustamente irriverenti- erano stati i due momenti forse spettacolarmente più accattivanti della serata: la pantomima sulla cronaca registrata della vittoria sulla Francia, con lui esagitato, urlante, aggressivo che simula uno spogliarello volgare e pecoreccio e quella della telecronaca delle esequie di Pavarotti, un montaggio che evidenziava la falsità e la retorica di media onnivori e senza pudore, mentre un servo di scena, che fino a quel momento aveva mosso a vista i pochi oggetti scenici, bianco vestito da angelo con ali di piume, stramazzava al suolo tramortito da tanta nauseabonda ipocrisia sulle note e gli acuti del pucciniano Vincerò. Breve, fulminate, eccessivo, sboccato, spudorato-ma molto meno delle cose che denuncia-questo made in italy merita davvero per freschezza di modi e necessità di intenti, l’applauso con cui è stato accolto dal pubblico, in gran parte di giovani, del palamostre.

Passato il miracolo, il Nordest paga le conseguenze. Il modello imprenditoriale, che aveva fatto del Veneto un laboratorio di nuova economia, ha perso la rincorsa e le terre raccontate da Paolo Rumiz e Gian Antonio Stella, le stesse cantate da Marco Paolini in Bestiario Veneto sono ancora un laboratorio. Ma di carattere sociale. La mentalità, le abitudini, i modi del parlare sono geneticamente cambiati. Più che nei libri dei sociologi e degli economisti, lo si riscontra al bar, nelle pizzerie, alle stazioni di servizio, là dove la nuova umanità nordestina mostra il dna mutato. Profondo nord, profondo razzismo, centri commerciali, outlet di prostituzione, tifoserie violente, abusi famigliari. Il nuovo bestiario veneto si legge anche in uno spettacolo teatrale, realizzato da una compagnia che viene proprio da quei luoghi. Babilonia Teatri ha sede a Isola Rizza, provincia di Verona. Ed è formata da due persone, Valeria Raimondi ed Enrico Castellani. Il loro spettacolo si intitola made in italy: nella sua semplicità è un atlante mostruoso dei luoghi comuni, dell’intolleranza, della volgarità  che soffia in provincia e non solo. Un atlante della normalità italiana. Raffiche di bestemmie, offese e pregiudizi razzisti, estremismi e conformismi sessuali sono stati registrati e verificati. Tutto vero, tutto documentato. Valeria e Enrico li hanno raccolti aprendo le orecchie e facendo attenzione a quel che si dice in giro. Frequentando bar, pizzerie, fast food, campi sportivi, leggendo le rubriche degli annunci sulla free press, muovendosi per la strada. Poi li hanno montati in lunghe litanie, in filastrocche, in cataloghi di volgarità da cui l’abitudine, il consumismo generale, la ripetitività ci hanno anestetizzati. Ne esce un’Italia scontata eppure inaspettata, un’immagine linguistica impressionante, caustica, molto divertente. Se non fosse tragica. Ecco perché il Veneto non li vuole, e la giovane compagnia fatica a mostrare lo spettacolo anche da queste parti. A Udine, nella stagione di Teatro Contatto, ci sono arrivati grazie alla vittoria nella più recente edizione del Premio Scenario. “Un lavoro dove si infrangono con sagacia e leggerezza tabù e divieti” dice la motivazione. Made in italy sarebbe piaciuto  a Karl Kraus, che aveva scritto Gli ultimi giorni dell’umanità riportando le chiacchiere dei caffe viennesi e le reazioni dei media di allora. Nei ragionamenti di quell’ “opinione pubblica” Kraus scopriva il perché della dissennata rincorsa al massacro europeo della prima guerra mondiale. Babilonia Teatri fa qualcosa di simile: ci fa riascoltare la radiocronaca dei funerali di Pavarotti, l’isteria dei commentatori dei mondiali di calcio, i surreali annunci delle radio locali, sottofondati da un colonna musicale trash di jingle e mostruosità famose.

Una teatralità ilare, ritmi contagiosi, una bella energia comunicativa, originali nel modo di stare in scena: bravi davvero Valeria Raimondi ed Enrico Castellani di Babilonia Teatri in made in italy per le idee, i modi di realizzarle, la capacità di giocare con intelligenza, spirito critico, molto rigore con parole, oggetti e situazioni, cero meritato il Premio Scenario 2007. E’ stata questa creazione, di denuncia e fresco divertimento, a chiudere la breve rassegna Solares/Briciole (Aprilepiù) al Teatro Parco: il senso geometrico, astratto delle azioni, parole scandite singolarmente e insieme, il passaggio dall’italiano al dialetto, i passi di danza, il piacere dell’ironia, la densità delle sorprese arrivano però a trasmettere, nell’ultima parte, quella velocità infine rallentata, sull’eco della morte così spettacolarizzata, le statuette di Biancaneve e Brontolo e Cucciolo moltiplicate, un sentimento vasto di malinconia, un’indefinita infelicità mentre il ventilatore solleva lievemente, come foglie, quei coriandoli bianchi, rossi e verdi della vittoria della Nazionale di calcio per cui c’era stata poco prima tanta eccitazione. Perché in forma esasperata, un divertimento amaro, made in italy, evidenzia comportamenti collettivi di un nord-est privo di allegria, di gusto, di sensibilità verso gli altri. Gli immigrati per esempio… Sì: tutto è esagerato, ma in questo eccesso giocato teatralmente anche la verità di un diffuso disagio dove paiono smarrirsi le individualità, i contatti reali, la capacità di stare davvero in ascolto in mezzo alle altre persone. Nudi come Adamo e Eva: in alto, luminosa, la mela morsicata. Un simbolo? piuttosto un marchio, un’insegna. Scansione rapida di giuramenti, parole che si inseguono, sentite più volte, luoghi comuni, suoni che si assomigliano. Le bestemmie di quella terra come filastrocche che nascondono e svelano insoddisfazioni, rabbie, pregiudizi. Balli, sessualità esplicita. Travolgenti Valeria & Enrico quando parlano insieme, come per il ritorno del numero tre, un fiume di parole/suoni/esempi che termina con trash. Vendere e comprare: nell’inseguirsi delle cifre, tra parole recentissime ecco riaffiorare la lingua madre, la cadenza regionale dei nonni…Lunghe onde di applausi, cariche di entusiasmo.

Anche l’America non sta tanto bene. Il mondo intero soffre un casino. Il problema vero subentra quando “da dentro” qualcuno ci guarda, quando noi stessi ci guardiamo e quello che vediamo ci fa salire il sangue alla testa che viene voglia di fasciarsela, la testa, e andare in giro così. Valeria Raimondi ed Enrico Castellani sono giovani, giovanissimi, e vengono da Nord Est. Quello che hanno registrato nei bar, nelle strade, dentro le case di quel loro Veneto che adesso quasi li espelle non è bello, per dire la verità è mostruoso, e loro non hanno saputo se riderne o piangerci. Nell’incertezza, si sono messi a correre, e correndo sono venute le parole, le immagini crashate di questo loro folgorate made in italy, Premio Scenario 2007, che ha fatto da ouverture alla manifestazione bolognese “Brandelli d’Italia”. Lo spettacolo di Babilonia Teatri comincia con una piccola affannata corsa: un ragazzo e una ragazza che prestano un giuramento che è quasi una preghiera mettendosi nelle mani di dio e di Maometto, della patria, di se stessi, ripetendo a memoria frasi ascoltate mille volte, per togliersele di dosso, forse, per purificarsi. Sul fondale si staglia un’insegna, c’è scritto “made in italy” ma si legge appena: appoggiata per terra, circonda il perimetro di questo piccolo circo felliniano, più balera di provincia che McMondo.

Perchè corrono questi ragazzi, da cosa scappano, cosa hanno visto di così terrorizzante? Hanno visto uomini al bar che nella piena legittimità della loro funzione sociale (cioè di “uomini al bar”, categoria che in Italia è considerata pensionabile e dotata di precisi diritti) dicono che bisogna “coparli tuti, coparli col napalm, questi marocchini de merda questi froci de merda”. Applausi. Tra una birra e l’altra. Tra un rutto e una bestemmia. E allora? Niente di speciale. Tutto normale. Poi, poi, cosa hanno visto, cosa hanno sentito, perché fuggono? Hanno visto uomini comprare altri uomini e altre donne, ma il prezzo dato alle donne era sempre più basso di quello dato agli uomini, piuttosto equivalente a quello di altre merci esposte in discount. E poi? Poi hanno visto un servizio di Briatore tra i lebbrosi. Vero? Finto? Finto ma come se fosse vero. E che altro? Hanno letto un annuncio in cui un uomo cercava una signora “no bulimica no anoressica no nera non est no sud america no marocco no algeria no turchia no cina no sud no handicap” ma “amante del presepe”ed era, quest’uomo, anche molto deluso e incazzato per le conseguenze di un precedente “acquisto” andato male (la fidanzata di prima, che gli era costata tanto, l’aveva lasciato dopo soli otto mesi). Tutto qui? Ma insomma, che cosa hanno questi due che non va? Hanno sentito, per radio, la cronaca dei funerali di Pavarotti e hanno capito cos’è la retorica che uccide, hanno sentito la messa la domenica e la partita di pallone, sempre la domenica, e hanno visto corpi nudi di invasati dopo la vittoria dell’Italia ai Mondiali. Hanno ascoltato le canzoni di Toto Cotugno e i versi “d’amor cortese” delle Steve Rogers Band che dicono “Alzati la gonna fammi vedere…mica sei mia moglie solo che per me sei troppo forte” e si sono messi a ballare e cantare a correre ad appendersi sulle funi a mettersi le ali e a togliersele. Finchè l’insegna non si è illuminata e tutto il trash “made in italy” non ha avuto il suo momento di catarsi. Per chi non volesse perdersi questo prezioso, incisivo ritratto dell’Italia di oggi, felicemente portato da una scrittura ritmica incisa su corpo e colonna sonora (rock e pop), può seguire la corsa di Enrico e Valeria.

Sono di Isola Rizza, pochi chilometri a sud di Verona, in pieno nord est, ovvero capannoni, villette e bar. Sono Babilonia Teatri compagnia vincitrice del premio Scenario 2007 con Made in Italy uno spettacolo-documento, una fotografia senza filtri della loro terra, della gente che vi abita, di ciò che si ascolta per strada o nei locali pubblici tra una partita di carte e un bicchiere di vino. Sono due giovani attori, Valeria Raimondi ed Enrico Castellani, pieni di grinta e di coraggio che impietosamente, senza fare sconti a nessuno, urlano dal palco una sequenza ininterrotta di frasi fatte intercalandola, come è normale da quelle parti, con ogni sorta di bestemmie e di imprecazioni. Ne esce una filastrocca intrisa di intolleranza, razzismo, violenza, superficialità e sbruffoneria. L’effetto è grottesco, quasi comico proprio perché coglie nel segno e ripete fino all’esasperazione ciò che quotidianamente accade, ma a cui non si presta più attenzione per abitudine, per assuefazione, per distrazione. Allo stesso tempo, quasi a voler purificare tanta volgarità e umana bassezza, scende dall’alto un vestito d’angelo mentre la radio racconta in diretta il funerale del maestro Pavarotti, lacrime, commozione, l’angelo si materializza nel tecnico di scena che con sguardo pietoso osserva il cielo dove all’improvviso arrivano le frecce tricolori con i loro voli acrobatici! No, non c’è più religione, verrebbe da dire, tutto è fasullo, costruito, mediatico, nulla sfugge, nemmeno i personaggi delle fiabe: quei simpatici e operosi nanetti con la loro bella Biancaneve schierati sul palcoscenico come tanti soldatini, non fanno altro che ripetere le stesse insulse banalità davanti ai due attori rimasti ormai senza parole, attoniti, sfiorati da un leggero vento che certo non porta la rivoluzione, ma solleva solo pezzettini di carta tricolore: bianca, rossa e verde.

“Madamina! Il catalogo è questo”…ora , supponete che al posto di Leporello ci sia un malcapitato ancorché sveglio e volenteroso cittadino dell’italico Nord Est e che invece delle belle registri balle: nel senso delle idiozie, delle frasi fatte e dei luoghi comunissimi che formano, disfano e riformano senza posa e senza misericordia quello che nella preistoria si chiamava immaginario collettivo e oggi deve, per forza, chiamarsi collettivo senza immaginazione. E il catalogo che ne consegue è (attenzione, le iniziali minuscole sono volute) “made in italy”, lo spettacolo della compagnia veronese Babilonia Teatri che ha aperto la stagione dell’ Elicantropo.

Volendo mettere in campo una sintesi estrema, tutto si riassume nella sequenza iniziale: che accoppia l’innocenza inerme dei corpi completamente nudi dei due attori-interpreti-registi, Valeria Raimondi ed Enrico Castellani, con un insensato ma protervo rosario di giuramenti sull’universo mondo degli opposti: la Bibbia e il Corano, il re e la repubblica, il bacio e l’esercito, l’amicizia e la vendetta, e così via sproloquiando. Dopo di che i nostri due fantaccini si dispongono come scattisti e partono a rotta di collo e di fiato per i più incredibili e paranoici e fulminanti cento metri che ci abbia offerto il teatro degli ultimi anni.

In termini di tempo, sono cinquanta minuti in cui davvero ci si rovescia addosso tutto e il contrario di tutto: le bestemmie da  pizzeria, i marocchini-froci-albanesi sistematicamente da “copare col napalm”, Rocky Balboa, tre civette sul comò, tre metri sopra il cielo, la trilogia della villeggiatura, Raffaello Sanzio-Latella-Valdoca-Emma Dante-Cecchi, i radicali liberi, il sudore… fino all’insostenibile leggerezza del duello al primo sangue tra il patriottardo Cutugno del “buongiorno Italia” e la beffeggiante Steve Rogers Band dell’ “alzati la gonna”. E nessun commento, nessun giudizio, nessuna storia che inizia e nessuna storia che finisce.

Questo spettacolo meriterebbe come epigrafe la sentenza che ne “I turbamenti del giovane Torless” pronuncia Musil, uno che di fine del Significato se ne intendeva: “Le cose, accadono; ecco tutta la saggezza”. Ma si capisce “made in italy” è anche uno spettacolo divertentissimo: perchè libera la comicità irresistibile e irresistibile proprio in quanto atroce, che non si affida alle battute, ma nasce-addirittura pirandellianamente o, se più vi piace, ungarettianamente, mercé l’ “allegria di naufragi”-dalla fredda consistenza della litania proposta. E allora mi sembra di poter concludere che, fra tanto teatro inutile oggi in circolazione,  questo exploit “babilonese” è invece necessario: giacché del mondo è una scheggia, non un’ ipotesi.

Parole incastrate in un percorso ironicamente drammatico lieve per giochi e sussulti, elegante per visioni colorate, convulso per rapide successioni, allusioni, assonanze, “made in italy”, Premio Scenario 2007, è all’ Elicantropo.  Lo hanno scritto, costruito e interpretato Valeria Raimondi ed Enrico Castellani mettendo insieme tutto il possibile scemenzario di un lessico da “profondo nord”.Così il prodotto medio di un italietta sciovinista, fascista, razzista, che ragiona per frasi fatte e concetti precotti diventa percorso esplosivo per intelligenza d’ architetture. Un’ ora di spettacolo tragicamente comico per verità deformate dalla sarabanda di corpi e voci su uno sfondo di neon colorati e piogge di carta tricolore.

Fra le qualità del Nordest, tratteggiato spesso con i colori del pregiudizio, della volgarità, del gretto egoismo e del dilagante razzismo, in pochi conoscono quella più tagliente dell’autoironia. Che quando si rivela, come nel caso di “made in italy”, titolo vincitore del premio Scenario 2007, che il Babilonia Teatri di Verona presenta all’ Elicantropo fino al 16 novembre, il risultato è deflagrante. Perché Valeria Raimondi ed Enrico Castellani sprigionando un’energia adrenalinica-fisica e testuale- diventano impietosi nei confronti dei propri conterranei (ma il discorso, cambiati gli accenti, potrebbe valere oggi per ogni angolo d’ Italia).

I due ragazzi veneti non costruiscono un filo conduttore preciso, ma piuttosto accumulano schegge di messaggi, di tic e pulsione collettive, tormentoni che sputano fuori “a manetta” con assonanze, rime e velocissimi giochi di parole, che ricordano a tratti il miglior Bergonzoni. Che però brilla di surrealtà, mentre qui si viaggia piuttosto sulla spinta di una necessità: quella di catalogare e denunciare tutto.

Nudi come la verità e il loro parossistico giuramento di onorarla e rispettarla. Così sul palco del Teatro Montevergini Valeria Raimondi ed Enrico Castellani hanno presentato il loro caustico, esasperato, accattivante “Made in Italy” (Premio Scenario 2007), altra gemma della prima edizione del “Teatro dei Cantieri Festival”. Lo spettacolo nell’assenza di struttura drammaturgica fonda il suo grande potere espressivo, nessuna storia da raccontare ma frenetici frammenti della vita quotidiana del nord-est italiano, della sua ricchezza ostentata e della sua implosione sociale e culturale percepita, attuata e subita. Ma l’apparente idiosincrasia nei confronti di questo scorcio di italianità offre, mostra, rivela e al contempo lascia intravedere la possibilità di una ritrovata temporanea melodia, l’illusione di una armonia e l’accorato nascosto bisogno di crederci nonostante la consapevolezza della sua finitezza. Come contestare la realtà di preconcetti, disidentità e ignoranza che intrecciati come i tubi luminosi sul fondale del palco tracciano a tinte forti l’esasperazione di uno smarrimento che è quello di una generazione bombardata dalla vita mediatica e dai frenetici tempi che inesorabile impone. Martellanti i ritmi della recitazione ora affiancati, ora sovrapposti come una litania che fonde pulsioni dadaiste ed echi creativi della beat generation. Una giostra che monta in sequenza pregiudizi, intolleranze, fanatismi e quella ‘sana ipocrisia’ che è dovuto immolare al culto di quei falsi idoli mediatici di cui siamo inconsapevoli o consapevoli adepti. Insomma uno spettacolo che scardina gli stili espressivi preordinati, rompe i sentieri stabiliti e con impeto apre un sentiero ‘destinato’ ad un lunghissimo e meritato applauso.

Ha l’energia scatenata di un dj set e l’efficacia spiazzante di un blob teatrale che procede per furibondo accumulo di immagini. Con il risultato di trasformarsi nello specchio di un paese alla deriva tra razzismo e luoghi comuni, falsi miti e beceri status symbol, tormentoni televisivi ed arcaica difesa dei propri  confini, globalizzazione e mortificante provincialismo. Davvero da non perdere made in italy, lo spettacolo con cui l’anno scorso la compagnia veronese Babilonia Teatri si è aggiudicata il Premio Scanario. In scena Enrico Castellani e Valeria Raimondi (un’autentica rivelazione), autori e attori di questo spregiudicato catalogo della nostra stupidità quotidiana declinato nel montaggio serrato di una sarabanda di parole, locuzioni dialettali rubate dal profondo Nord-Est, aggressioni verbali e canzonette, bestemmie ripetute come le preghiere di un rosario e parossistici elenchi di volgarità consumate con indifferenza.

Uno spettacolo di adrenalina pura, teatralissimo pur nel suo impianto volutamente pop che miscela come un frullatore la materia tutt’altro che nobile di un’amanità della quale vorremmo dissociarci e che invece ci riflette impietosa, come la muta schiera di nani da giardino che affollano la gran scena finale.

Nell’affascinante garage Nardini di Bassano del Grappa, uno dei luoghi di Operaestate Festival Veneto, evento etivo tra i più noti per l’attenzione allo spazio e ai generi, il gruppo veronese Babilonia Teatri, conosciuto con lo spettacolo made in italy, che sta girando l’Italia senza sosta dopo aver vinto il Premio Scenario 2007, ha proposto il primo studio di un nuovo progetto scenico, Pornobboy, terribilmente rose e fortemente pop.

Babilonia Teatri è per un teatro pop, per un teatro rock e per un teatro punk. La giovane compagnia veronese, che irride le convenzioni, i luoghi comuni, i clichet della vita moderna e del teatro contemporaneo, mette insieme le contraddizioni della realtà in cui è nata, crsciuta e si è moltiplicata. Essere pop-rock-punk è evidentemente una provocazione, uno di quegli ossimoridi cui Babilonia Teatri nutre la propria originale drammaturgia, affrontando così il teatro di parola e di critica sociale, con un sereno ma feroce distacco.

L’assaggio di quel che sarà Pornobboy visto a Bassano nella sua prima uscita ufficiale è già in grado di dispiegare tutto il potenziale di comicità caustica, di ironia sovversiva, di cirtazioni e riferimenti trash: tutti gli elementi su cui la giovane compagnia ha costruito la propria personale ed originale cifra di composizione scenica sono lì, virati in fucsia.L’ammasso contorto e fluttuante di parole (non battute), di cose dette (non recitate) e lasciate ad accumularsi sulla scena scarna, trova un’ulteriore valvola di sfogo in questo lavoro che riflette sulla pornografia, sull’esposizione pubblica della propria intimità, sessuale e sentimentale che sia. La più forte e la più irritante è la lettera di Veronica Lario al Corriere della Sera, pubblicata all’indomani delle dichiarazioni “affettuose” fatte dal Premier nei confronti di alcune presenti ad una serata di gala televisiva. Soglie di vergogna abbattuta da cui non si torna indietro, si può solo procedere in avanti, in senso verticale. Lospettacolo scritto, diretto e interpretato da Valeria Raimondi ed Enrico Castellani, vede in scena anche il tecnico-performer e due icone della pornografia contemporanea: una ragazza “Non è la rai”(come non ce ne sono più si direbbe) e un ragazzo Harley (qualcosa di molto vicino a un tronista di Maria De Filippi). Tra citazioni familiari, espressioni dialettali, nomi importanti della canzone d’autore italiana, Babilonia Teatri condensa in una ventina di minuti l’immaginario pornografico dei nostri anni 90/2000, con un indubbio effetto comico e con interessanti risvolti critici.

Adamo ed Eva in accappatoio e scarpette argentate, sotto un albero al neon ed una mela rossa iridescente, guardano il pubblico contemporaneo dalla loro scarna scena contemporanea. Il tecnico luci, di lato, a vista, maneggia fari e funi, contribuendo al generale senso di straniamento che lo spettacolo ha evidentemente deciso di percorrere. Un grido, un rapidissimo sguardo sulle loro nudità e poi tutto ha inizio. Partoriranno con dolore, lavoreranno e sapranno cos’è il bene e cos’è il male, dovranno vestirsi. Loro, noi, i veronesi, i veneti, gli italiani. Made in Italy squarcia così il velo della conoscenza e della coscienza di noi cittadini-spettatori. Una pièce in qualche modo incentrata sulla verità e sulla condizione umana, vincitrice di Premio Scenario 2007 lo scorso luglio, ora impegnata in una lunga tourné che tocca i più importanti teatri italiani. “…Un ritratto spietato delle “sacrosante” manifestazioni del tifo calcistico e delle telecronache enfatiche e patriottarde, normalmente rese impercettibili dalla generale assuefazione. Un lavoro dove si infrangono con sagacia e leggerezza tabù e divieti, per rilanciare anche il teatro oltre gli schemi e i conformismi”, come recita la motivazione della giuria che li ha eletti vincitori fra i giovani gruppi della ricerca teatrale. Un affresco composito, fatto di quadri che si avvicendano in rapida successione, in cui le parole si accumulano, si accatastano in scena, si stratificano e lentamente perdono di significato, di senso. Seguendo, ed in qualche modo denunciando, quel processo di banalizzazione che subiscono molte delle espressioni, dei concetti, delle opinioni che la gente esterna, anche le più gravi: una bestemmia ha il peso di una bestemmia certo, ma una bestemmia ripetuta mille volte come intercalare perde la sua carica di negatività, di blasfemia; un insulto ed un vilipendio alla dignità di un immigrato o di uno straniero pesa sulla coscienza di chi lo pronuncia e di chi lo ascolta, ma si fa leggero, comico, grottesco se ripetuto tra una pizza e l’altra, centinaia di volte. In un gioco scenico cinico, ironico, a tratti doloroso, che smaschera quel drammatico meccanismo sociale e culturale per il quale ci si abitua a tutto in Italia, basta poterlo ripetere abbastanza a lungo perché sembri normale. Perdono la loro originaria efficacia le parole di Made in Italy, si confondo nel caotico, surreale elenco di espressioni, allitterazioni, concatenazioni, per poi acquistare una nuova rilevanza, una nuova forza eversiva. Da questo pieno, zeppo di buffi riferimenti trash e duri commenti dell’uomo della strada, emerge un vuoto che ha un volume più alto delle voci che in scena, in perfetta coordinazione e sincronia, urlano e graffiano. Non c’è mimesi, non c’è immedesimazione: i due personaggi sul palcoscenico, Valeria Raimondi e Enrico Castellani (anche creatori dello spettacolo), divengo ad ogni quadro un’icona, un simbolo, non interpretando alcun ruolo ma facendosi di volta in volta veicolo dei ruoli altrui, pescati nella bottega sotto casa, nel bar all’angolo. Con voci atoniche, cantilenate, riportano sulla scena, quasi vomitandoli, i pensieri della gente comune, che in veneto, come in molte regioni italiane, usa il dialetto per esprimersi, specie a riguardo di donne, sghei (soldi) e marocchini. Molti i riferimenti cattolici, religiosi, specchio di una società, quella del nord-est, lontana dalla laicità ma vicina agli estremismi nazionalistici ed ai campanilismi biechi. Molti gli ambiti toccati, dal razzismo, alla società mediatica e ottusa, alla morfina calcistica, alla spettacolarizzazione della morte. Così ad esempio un funerale illustre, celebrato poco tempo fa a Modena, diviene l’occasione per commentare in silenzio, ascoltando le registrazioni dei cronisti RAI, la paradossale dimensione in cui siamo perennemente immersi. Basta compiere un minimo, lieve gesto di astrazione, di distacco e subito emergono le degenerazioni della nostra cultura e della nostra società. Una colonna sonora accattivante, che ha toni pop-trash, trascina e diverte, contribuendo al generale senso di amarezza e comicità dello spettacolo, coronato da un finale in cui sono protagonisti muti ed attoniti Biancaneve ed i suoi fidati nani da giardino.