INFERNO

Inferno è un paradosso.
È pensabile ragionare live intorno all’Inferno di Dante con una compagnia composta da persone disabili che non hanno mai letto la Divina Commedia?
La risposta è sì. È possibile.
L’Inferno di Dante è un cammino iniziatico, è una discesa agli inferi, è il racconto della complessità umana e della nostra paura di incontrarla e di conoscerla.
Il nostro Inferno è l’incontro con persone e con mondi che generalmente non conosciamo e con cui non veniamo in contatto, mondi sotterranei che hanno diritto di venire alla luce per mostrare la loro bellezza e le loro bruttezze: per manifestare ed esprimere la loro ricchezza.
Inferno è la determinazione a far salire sul palco chi sembra non averne le qualità e le caratteristiche per provare a fare un salto oltre lo stigma e incontrare l’umanità e la persona.
Inferno è un teatro che interroga. Interroga su quale sia il teatro che ha senso fare. Interroga sul ruolo del teatro. Interroga su quale sia il limite oltre il quale si smette di fare teatro per muoversi in territori ignoti.
Inferno è il desiderio di non piangersi addosso e di non farsi compiangere dagli altri, ma di raccontare attraverso un equilibrato mix di empatia e di ironia come sia troppo semplice nascondersi dietro la maschera del diverso. Come sia troppo comodo cercare approvazione perchè si è costretti a vivere il proprio inferno quotidiano.

Affermare che Daniele è down è corretto, ma Daniele è molto altro.
Affermare che Selika è in sedia a rotelle è corretto, ma Selika è molto altro.
Lamin è nero, è alto e non parla l’italiano, ma Lamin prima di tutto è Lamin.

Inferno è la voglia, il desiderio e il sogno di continuare a fare del teatro un luogo vivo.

Di fare del teatro un polo capace di trasformare le cose e le persone.

Inferno è la convinzione che il teatro oggi deve occuparsi prima delle persone che di se stesso.

Inferno è il bisogno e la scelta di fare un teatro necessario.

Inferno è fare teatro con chi non risponde alle logiche del teatro, ma inconsapevolmente le sovverte, le ribalta e mandandole all’aria le rinnova.

Inferno rivendica al teatro il suo ruolo di iniettore dialettico, capace di aprire squarci sul presente. Di metterci in crisi.

Inferno è un’oasi, un miraggio, una meta oltre l’orizzonte.

Inferno è un non luogo. Inferno va oltre lo stigma.

Inferno è una doccia di varechina per scrostare etichette veritiere, ma a tal punto univoche da falsare la realtà.

Inferno è magma incandescente per la nostra estetica. È nutrimento per la nostra etica.

CREDITI

con Enrico Castellani e gli attori non-attori del Laboratorio-Scuola/Compagnia ZeroFavole Selika Caffarri, Marika Messori, Carlo Trolli, Marco Messina, Sara Fecondo, Daniele Balocchi, Maria Balzarelli, Paolo Terenziani, Lamin Singhateh, Amer Ben Henia, Edu Josephine Ogechi Eidhom
produzione Babilonia Teatri
collaborazione artistica Stefano Masotti
un progetto di Babilonia Teatri e ZeroFavole
con il contributo di Fondazione Alta Mane Italia (AMI)
scene Babilonia Teatri
luci e audio Babilonia Teatri / Luca Scotton
costumi Babilonia Teatri / Franca Piccoli
organizzazione Alice Castellani
grafiche e foto di scena Eleonora Cavallo

“Scivola veloce “Inferno” sul palcoscenico, scivola rivelando le nostre paure di spettatori, quelle inconfessabili anche a noi stessi per pudore o vergogna. Squarcia il sipario della verità, disarma ogni forma di sovrastruttura. ”

Lucia Ferraro

RASSEGNA STAMPA

Diciamolo subito: “Inferno” di Babilonia Teatri potrebbe non piacervi.
Anzi, potreste guardare chi vi ha convinti ad andare a teatro quella sera e pretendere violentemente di farvi restituire i soldi.
Potreste passare un’ora domandandovi: “Ma che cosa stanno facendo?”.
Oppure ritrovarvi addirittura a pensare che una “cosa così” può circuitare solo perché firmata dall’osannata e pluripremiata compagnia teatrale veneta.
È giusto che lo sappiate, se vi siete fatti convincere a comprare il biglietto dalla sfilza di Premi Scenario, Premi Ubu e Premi della Critica che Enrico Castellani e Valeria Raimondi ricevono ad ogni uscita pubblica.
Preparatevi, perché non sarà facile abbandonarsi all’opera, soprattutto per coloro che non sono abituati ad approcciarsi al cosiddetto “teatro sociale”.

Torniamo un po’ indietro, fino al momento in cui la ricerca di verità dei Babilonia Teatri  li ha fatti incontrare conStefano Masotti, Sara Brambati e gli attori non attori della Compagnia ZeroFavole, un’associazione che ha tra i suoi obiettivi promuovere, proteggere e garantire il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà  fondamentali da parte delle persone con disabilità e incoraggiare il rispetto per la loro intrinseca dignità .
Un bisogno di realtà che affronta la paura di relazionarsi alle emozioni, che necessita di trovare nuove forme di contatto, esplora e dà un peso specifico ad una sedia a rotelle, affronta le difficoltà verbali e le fa sfociare in un dialogo serrato su quelle domande sulla vita che tutti ci poniamo.
Un incontro che genera una scintilla e porta alla creazione di un manifesto che elenca a tutti gli intenti della compagnia, i suoi bisogni primari:
“Inferno è la voglia, il desiderio e il sogno di continuare a fare del teatro un luogo vivo. Di fare del teatro un polo capace di trasformare le cose e le persone. Inferno è la convinzione che il teatro oggi deve occuparsi prima delle persone che di se stesso. Inferno è il bisogno e la scelta di fare un teatro necessario. Inferno è fare teatro con chi non risponde alle logiche del teatro, ma inconsapevolmente le sovverte, le ribalta e mandandole all’aria le rinnova. Inferno rivendica al teatro il suo ruolo di iniettore dialettico, capace di aprire squarci sul presente. Di metterci in crisi.”
Ecco il punto è proprio questo: dovete essere pronti a mettervi in crisi, perché in questo “Inferno” il confine tra improvvisato, reale e recitato è flebilissima.
Ripetetevelo come un mantra mentre vedrete sul palco Enrico Castellani e la compagnia di attori non attori giocare a basket sulle note di “Smells like teen spirit” dei Nirvana.

Sarete costantemente subissati da domande e non riuscirete a comprendere cosa di quello che vedrete sarà pura casualità, rifiuto reale o ironica costruzione. Riderete di cuore senza deridere e vi emozionerete di fronte a corpi di gioia e di commozione.
E vi ricorderete che se avete osannato Pippo Delbono per aver costruito la sua poetica intorno alle figure di Bobò, Gianluca e Nelson, potrete permettere ad altri di saper costruire spettacoli altrettanto intelligenti insieme alla Compagnia ZeroFavole.

Sono uscita dalla sala perdendo – forse per sempre – due compagni di teatro ma con i pensieri in fermento e piena di quesiti.
Ho ricostruito passo passo ogni singolo dialogo dello spettacolo e mi sono accorta di averlo vissuto con gioia, ridendo di gusto e asciugando – talvolta – gli occhi.
Se il teatro deve occuparsi delle persone prima che di se stesso, l’obiettivo di questo spettacolo è stato raggiunto: “Inferno” è vita rivelata con sapienza artistica e ricerca profondissima di relazione ed espressione.
Enrico è un ottimo regista anche dal vivo e la sua disciplina gli consente di essere coraggiosamente a suo agio nell’aprire il sipario su un happening in cui il pubblico non è mai presenza silente.
“Hai paura di me e della mia carrozzina” dice Selika a Castellani in una risposta ad un questionario. Quando queste parole tabù vengono fuori quasi alla fine dello spettacolo, ci rendiamo conto che quella constatazione in realtà è rivolta a tutti noi.
“Pensi che sia cambiato ora?”
“Sì”.

Ed è quello che è accaduto a tutti noi durante questi densi minuti di teatro.
Lo consiglio? Sì, certamente.
A tutti.
A patto che siate pronti a lasciarvi trasformare.

“Vuoi un po’ d’acqua?” … Parto da questa frase, parto da questo gesto. Un regista da bordo palco offre una bottiglietta d’acqua all’attore… l’attore beve e la restituisce al regista, il regista beve a sua volta con naturalezza… nulla di strano infondo, se non fosse che sulla scena c’è un attore diversamente abile, esteticamente diverso dai canoni hollywoodiani. E guarda, ce ne sono pure altri 5 di attori, tutti diversamente abili… è quel “diversamente” a fare la differenza, è quel diversamente a rendere speciale quel gesto di condivisione di una stessa bottiglia d’acqua. Il diverso fa paura, il diverso ha una salivazione diversa dalla mia, il diverso è imprevedibile… Oddio, si laverà i denti? O qualcosa gli resterà incastonato e finirà nella bottiglietta mentre beve? Avrà malattie contagiose… l’alito pesante? Perché, magari, “diverso” nel mio inconscio suona come sinonimo di “malato“.
Scivola veloce “Inferno” sul palcoscenico, scivola rivelando le nostre paure di spettatori, quelle inconfessabili anche a noi stessi per pudore o vergogna. Squarcia il sipario della verità, disarma ogni forma di sovrastruttura. Osservo le persone intorno a me… rapite dalla simpatia degli attori, sorprese dalla dolcezza del regista che accoglie e accompagna la verità di ciascuno, perché a questi attori viene data la possibilità di esprimere una propria idea, un proprio mondo, una propria abilità… e lo spettacolo nasce da questo, non tanto da un copione erogato a “diversi ammaestrati”, ma da un teatro verità che libera chi è in scena e chi assiste alla scena… libera dal pregiudizio, libera dalla paura di essere guardati e non capiti imprigionati da una diagnosi medica, libera dallo sguardo pietoso e in fretta distolto, libera dall’idea che qualcun altro possa essere soltanto la diversità che interpreta e non l’abilità che ignoriamo.
Ho il grande privilegio di avere amici “diversi” che scardinano il mio punto di vista di “normo dotata”. Quando ci regaliamo con altri amici un giro con loro per la città, sorrido perché mi accorgo che ancora, nel 2015, c’è chi guarda accigliato il fatto che questi “diversamente belli” stiano tra la gente e non con un gruppo di disabili condotti a grappolo da un educatore. La loro simpatia è contagiosa, la testardaggine proverbiale e… sì, rovesciano in continuazione la nostra prospettiva.

Figuriamoci che accade se nel 2015 una compagnia di attori presenta attori “diversamente abili”… la critica teatrale come valuterà uno spettacolo come questo? “Inferno” è un capolavoro. Per la forza della metafora dantesca scelta e l’onestà dei registi che hanno accompagnato il percorso laboratoriale. “Inferno” racconta quel teatro verità in grado di sfuggire a qualsiasi canone di valutazione e lettura pre-confezionata. Quale compito ha il teatro? Celebrazione estetica o svelamento della verità? Divertimento o innesto di pensiero? Io credo nel teatro che genera, il teatro che dà spazio, il teatro che mi fa uscire conservando e custodendo i nomi e le storie raccontate dagli attori: Sevica, Maria, Marco, Daniele, Sara, Marica. Il giorno dopo l’articolo di un giornale parlava semplicemente di “disabili in scena all’Astra”, insinuando addirittura la volontà di porli sul palco per suscitare la commozione a buon mercato dello spettatore. Leggendolo mi sono sentita profondamente offesa, profondamente triste per l’autore dell’articolo: non si è accorto che sul palco c’erano persone e non soltanto disabili, non si è accorto che erano attori a tutti gli effetti, non a caso maschera rimanda a persona, persona che svela se stessa con fatica e verità. Il critico non si è accorto di parlare forse di un mondo che non conosce e che non può esser liquidato con indici di valutazione prettamente estetici in cui da spettatrice tra l’altro non mi riconosco affatto. Come faccio a valutare qualcosa che non conosco?
Sorrido… forse sono solo più fortunata, fortunata ad avere amici “diversi” che mi aiutano a vedere oltre la superficie delle cose e delle persone, imprevedibili, irriverenti, fuori canone e anti lacrima facile… amici che mi permettono di comprendere la bellezza di uno spettacolo che invito tutti ad andare a vedere.

L’edizione 2015 del festival Inteatro ha trovato quest’anno una nuova veste, dividendosi tra l’ormai storica sede del paesino di Polverigi e i teatri e i luoghi del capoluogo marchigiano. Più sperimentale e dedicata a giovani interpreti la parte polverigiana, riservata alle grandi produzioni quella anconetana, mantenendo comunque il carattere di invasione di spazi che si riallestiscono e si reinventano.
Dieci giorni fitti di appuntamenti, in cui si sono mescolati culture, invenzioni e tecnologie declinate con linguaggi e metodologie compositive diverse, una ibridazione culturale che raspa i confini identitari allargando gli orizzonti.
Altra piacevole novità, legata alla parte anconetana del festival, è stata il coinvolgimento di realtà territoriali, a cui è stato dato il compito di invadere gli spazi cittadini per riuscire a portare la danza ovunque, agganciando così il festival all’humus più fertile che Ancona può offrire.
Unico spettacolo ospitato al Teatro Sperimentale è l’anteprima di “Inferno” di Babilonia Teatri. “Inferno è la convinzione che il teatro oggi deve occuparsi prima delle persone che di se stesso” scrivono nelle note di regia Raimondi e Castellani, e in effetti la carica di umanità presente è qualcosa che travolge e prende profondamente. E’ l’umanità degli attori-non attori del Laboratorio-Scuola/Compagnia ZeroFavole, persone con o senza handicap ma prima di tutto persone, con le loro convinzioni e le loro vite, esposte con candore disarmante e l’umanità del conduttore (lo stesso Enrico Castellani, che già aveva ’sperimentato’ questo approccio in “Pinocchio”), portati per mano con intelligente e caldo humor a raccontarsi e raccontarci qualcosa del mondo visto con altri occhi, sfiorando senza enfasi o pietismo l’inferno di ognuno.
“Inferno è magma incandescente per la nostra estetica. E’ nutrimento per la nostra etica”: non si potevano trovare parole migliori per sintetizzare l’offerta che viene fatta al pubblico da questo insieme variegato di esseri umani che, sul palco, non vestono i panni di alcun personaggio ma raccontano solo sé stessi.