PARADISO

Un giorno ci siamo svegliati e ci siamo accorti che a fianco alle nostre vite ne correvano delle altre. Correvano su binari paralleli, a pochi metri da noi, ma era evidente che I nostri binari e I loro non si sarebbero mai incontrati.

Abbiamo tirato il freno a mano, inscenato un posto di blocco, piegato le rotaie con le mani, con le pietre e con la testa e alla fine ci siamo scontrati.

Paradiso fotografa questo scontro.

Paradiso dà voce a tre ragazzi minorenni che vivono ospiti di una comunità per minori in affido ai servizi sociali.

Paradiso racconta come le loro vite incarnino per noi l’idea di un Paradiso negato.

Se Paradiso è sinonimo di purezza credo che l’infanzia dovrebbe essere il Paradiso di ognuno, il momento in cui poter vivere la propria purezza, prima di sporcarsi e corrompersi.

Paradiso racconta di chi non ha avuto la possibilità di vivere la propria purezza perchè qualcuno di molto vicino non gliel’ha permesso.

Racconta di come il Paradiso stia prima.

Prima di perderlo.

Racconta di chi l’ha perso troppo presto ed ora lo rivuole indietro.

Rivuole tutto quello che gli spettava. Con gli interessi e la mora.

Racconta qualcosa che non è facile raccontare.

Ma lo racconta lo stesso.

Paradiso ha il suo fascino nel suo sovraumano tentativo di raccontarci l’inenarrabile, l’immemorabile e l’incomprensibile.

Un grembo sonoro accompagna il racconto.

Segue e determina le onde dello spettacolo.

Il set musicale è elettronico e tutti i suoni vengono filtrati attraverso un computer. Sono suoni spesso acidi che diventano anima e corpo del nostro Paradiso negato.

Paradiso chiude la nostra personale trilogia dantesca: Inferno (2015), Purgatorio (2016), Paradiso (2017).
I tre spettacoli hanno come tratto comune sia la completa libertà con cui ci siamo avvicinati alla materia dantesca, sia la scelta delle persone che abitano i diversi spettacoli.
Inferno e Purgatorio hanno come attori Enrico Castellani di Babilonia Teatri e nuclei diversi dell’associazione ZeroFavole di Reggio Emilia, mentre per la creazione di Paradiso a loro si aggiungeranno alcuni componenti dell’Orchestra Allegro Moderato di Milano.

Il Paradiso è il luogo per antonomasia della musica. Luogo celestiale dove la musica e il canto accompagnano Dante lungo tutto il suo cammino. Da qui l’idea della musica dal vivo. Musica non come sfondo né atmosfera, ma come drammaturgia. Come attore dello spettacolo.

Paradiso si interroga e indaga le possibilità di abitare la scena attraverso mondi, corpi, voci e vissuti non conformi che crediamo possano rappresentare e raccontare un tempo, il nostro, che sfugge a qualsiasi tipo di definizione e a qualsiasi pretesa di classificazione con grande efficacia, sia da un punto di vista etico che da un punto di vista estetico.

CREDITI

DEBUTTO 3-4 NOVEMBRE 2017 ROMA EUROPA FESTIVAL

con Enrico Castellani, Daniele Balocchi, Amer Ben Henia, Joice Dogbe, Josephine Ogechi Eiddhom
collaborazione artistica Stefano Masotti
musiche Marco Sciammarella, Claudio Damiano, Carlo Pensa ( Allegro Moderato)
luci / audio Babilonia Teatri / Luca Scotton
direzione di scena Luca Scotton
produzione Babilonia Teatri, La Piccionaia centro di produzione teatrale |
coproduzione Mittelfest
col sostegno di Fondazione Alta Mane Italia
residenza artistica La Corte Ospitale, Orizzonti Festival
un progetto di Babilonia Teatri e ZeroFavole
organizzazione Alice Castellani
scene Babilonia Teatri
costumi Franca Piccoli
foto di Sara Castiglioni

produzione 2017

“Dopo aver visto da Paradiso di Babilonia Teatri ci si chiede perché mai il teatro non possa essere prescritto come dovere di legge, come mecca del pensiero, come necessario confronto/incontro per cambiare e per conoscere, oltre che allenare la nostra coscienza, intorpidita dall’individualismo e dal narcisismo.”

Nicola Arrigoni

RASSEGNA STAMPA

Non possiamo nemmeno dire che «Paradiso», passato a Verona nel cartellone dell’Altro Teatro al Camploy, sia il punto di arrivo di una compagnia che seguiamo dagli esordi. Perché nel frattempo i Babilonia Teatri fanno altro e faranno dell’altro, magari un nuovo «Romeo e Giulietta», come hanno detto. Ma di sicuro è il punto di arrivo della loro visione dell’uomo che, viaggio dantesco a parte, arriva inevitabilmente a specchiarsi crudamente con se stesso. Senza decori, senza fronzoli, senza aggiunte poetiche. «Paradiso» è un punto zero, una cronaca, “casuale”, come ripetono i cinque attori in scena. E li chiamiamo volutamente attori anche se Enrico Castellani è un tutor meno direttivo di «Inferno», Daniele Balocchi il suo poetico collaboratore e Amer Ben Henia, Joice Dogbe, Josephine Ogechi Eiddhom sono più sinceri del neorealismo inseguito da Pasolini. I Babilonia li hanno resi autentici dopo un grande lavoro. Scorre sul palco una cronaca che allude e rimanda. Cogliamo che i ragazzi scelti assieme alla collaborazione artistica di Stefano Masotti di Zero Favole, hanno vite delle quali sul palco arrivano schegge, dolorose e taglienti. Cocci aguzzi di bottiglia, ma forse di Montale questi tre ragazzi sono gli «Ossi di seppia»: l’essenziale senza un perché e un senso. Sono lì, scarnificati dentro un out-ing che adopera a tratti le immagini care al gruppo veronese. Ci sono i crocefissi per questi “poveri cristi” inchiodati da vita e pregiudizi, ma la regia attinge meno di altre volte agli effetti retorici. Anzi, anche la proverbiale ironia e autoironia dei Babilonia scivola via nascondendosi tra le pieghe di qualche rosario di parolacce. Meno immagini (forse qualcosa dalle 120 giornate di Sodoma di Pasolini), meno compiacimento nel lirico, perché anche la musica si piega ad essere parola che freme e martella scandendo il ritmo di quelle biografie crepate e rotte. Il Paradiso del titolo è più quello di Michelangelo Pistoletto che quello dantesco. È qui e ora, lontano da quello perduto tanto quanto da quello irraggiungibile e promesso. Il Paradiso è prima del dolore, prima di sapere e di dimenticare, recita l’attrice del Togo. Il Paradiso è in fondo al pozzo, nel buco nero, altro che luce celestiale. C’è il nero attorno ai tre ragazzi, il buio di una vita avara. I “ladroni” appesi a spazzoloni e scope, inchiodati sulla terra come le croci di Ungaretti, sono pronti a risorgere. E Dante? Lui stesso aveva scritto che la luce divina ha illuminato “meno altrove”. Ecco, questo è l’altrove, in cui speriamo che i Babilonia rimangano per un po’.

Dopo aver visto da Paradiso di Babilonia Teatri ci si chiede perché mai il teatro non possa essere prescritto come dovere di legge, come mecca del pensiero, come necessario confronto/incontro per cambiare e per conoscere, oltre che allenare la nostra coscienza, intorpidita dall’individualismo e dal narcisismo. L’augurio irrealizzabile è suggerito dall’ultimo lavoro di Babilonia Teatri, un lavoro che esplode di vita, che nella finzione del teatro urla, pretende, chiama in causa la verità della realtà, la vita reale che è sublimata, narrata e poeticamente offerta agli sguardi degli spettatori. Paradiso è la chiusura della trilogia dantesca del gruppo veneto, è l’interrogarsi sul Paradiso perduto dell’infanzia, sulle vite gettate via che ci sfiorano quotidianamente e che hanno i volti dei migranti, degli stranieri, del mondo affamato e violentato che bussa alle nostre porte e che noi escludiamo, rifiutiamo, fingiamo di non vedere perché accecati dal nostro benessere che si sta spegnando come una fiammella.
Nel Paradiso dei Babilonia ci sono tre marziani, sono Amer Ben Henia, Joice Dogbe e Josephine Ogechi Eiddohm, sono tre ragazzi minorenni, sottratti alle famiglie e dati in affido a una comunità. In scena sono semplicemente Tunisia, Togo e Nigeria. Al loro fianco ci sono Daniele Balocchi, un angelo bianco con la sindrome di Down ed Enrico Castellani a fare da regista interno, da cantore, da aiutante, da sorvegliante alla pari di quelle vite e di quei corpi che pretendono attenzione, ma soprattutto rivogliono il loro Paradiso perduto. Potente è l’inizio di quel ‘per caso’, ‘casualmente’ reiterati con la potenza anforica dei migliori testi dei Babilonia Teatri che inquadrano chi sono quei tre ragazzi, chi sono realmente, ma per noi saranno Tunisia. Togo e Nigeria, semplicemente tre Paese, tre mondi lontani e che ci fanno paura ma ci interrogano.. Quelle vite sono immondizia e forte è la scena in cui si mimano nascite indesiderate da gettare nel sacco nero della spazzatura. Rabbiosi sono gli improperi che i tre ragazzi lanciano al pubblico, la loro rabbia fatta di parolacce, di vaffanculo – forse troppo ripetuti –, ma che nell’accumulo esprimono un dirsi che si compie nell’insulto perché altra possibilità non gli è concessa. La ragazza nigeriana si fa ballare dal proprio corpo come i nigeriani sanno fare, senza nulla aggiungere; la ragazza del Togo canta sopra la traccia di Summertime, e a Hamer Ben Henia parla di fratelli e di kalashnikov tatuati sulla testa, fino a scaricare quelle fantomatiche armi sul pubblico. Azioni che vivono vere e assolute e la cui connessione poetica è tutta affidata al pubblico. E’ la musica eseguita dal vero da Marco Sciammarella, Claudio Damiano e Carlo Pensa di Allegro Moderato che fa da drammaturgia e da scenario a questo Paradiso fatto di nulla eppure così pieno di pathos, di passione e verità.
La scena sgombra e la presenza dei tre adolescenti con i loro volti, la loro poesia, la danza come liberazione, il cantare come voce dell’anima che aspira al Paradiso sono quanto basta, sono la scrittura di Babilonia Teatri, sono lo sguardo su un oltremondo che non vediamo, in cui l’accesso possibile è dato solo dalla fede nell’uomo e nell’umanesimo. E allora quelle nascite gettate nei sacchetti neri dell’immondizia che aprono Paradiso hanno il loro esito nella crocifissione finale, in quei tre Cristi che sono il verbo, il corpo e l’anima violati di un’umanità che sogna una resurrezione possibile. «La chiusura è affidata all’incipit della terza cantica dantesca: La gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra, e risplende/ in una parte più e meno altrove». In questo altrove ci porta il Paradiso dei Babilonia Teatri ed è grande e commovente esempio di umanesimo… non solo teatrale.