ROMEO E GIULIETTA
Una canzone d’amore
Quando abbiamo deciso di mettere in scena Romeo e Giulietta avevamo chiare due scelte: gli unici personaggi di Shakespeare presenti nello spettacolo sarebbero stati Romeo e Giulietta e ad interpretarli sarebbero stati due attori anziani.
Le scene in cui Romeo e Giulietta si incontrano e dialogano, isolate dal resto del testo, assurgono a vere e proprie icone di un amore totale e impossibile. Il fatto che a pronunciarle siano Paola Gassman e Ugo Pagliai, coppia da più di cinquant’anni, le rende commeventi e profonde. Le rende concrete e per quanto poetiche non suonano mai auliche.
I continui riferimenti alla morte, alla fine, alla notte e alla tomba di cui Shakespeare punteggia l’intero testo qui assumono una veridicità che sconvolge e commuove, provoca un’emozione che ci spinge ad empatizzare con gli attori sulla scena.
Lo spettacolo procede attraverso un dialogo tra le parole di Shakespeare e una riflessione intorno a Romeo e Giulietta e a i temi che emergono dal testo. Riflessione che ha dei contorni assolutamente informali, dove trovano spazio approfondimento e leggerezza. Attori e registi si confrontano tra loro a viso aperto, condividendo col pubblico le domande che le parole del bardo hanno fatto sorgere loro durante la costruzione dello spettacolo. E’ un confronto che vuole aprire degli squarci nel testo, per scoprirne la vertigine e la follia, la violenza e la bellezza. Per provare a immaginare cosa Shakespeare non ha scritto, ma noi ci prendiamo anche la licenza di aggiungere canzoni d’amore cantate in playback e balli illuminati solo da lucciole magiche che appaiono e scompaiono tra le mani degli attori.
Il procedere dello spettacolo è quindi dato da un continuo scivolare da Shakespeare ai sui interpreti, dalle sue parole alle nostre divagazioni, le rotture sono continue, talvolta coerenti altre spiazzanti.
Ci siamo permessi di inserire nello spettacolo un mago illusionista. Sentivamo sulla pelle l’angoscia che percorre l’intera vicenda e avevamo una sola immagine in grado di ricreare quella stessa angoscia: un lanciatore di coltelli. Romeo e Giulietta per noi sono come una persona-bersaglio pronta a ricevere i lanci di un lanciatore di coltelli. Non avevamo parole per raccontarlo, né altre soluzioni per rappresentarlo, sul palco con noi si aggira un lanciatore di coltelli.
Lo spettacolo si concentra completamente sui protagonisti della vicenda, mette da parte tutto il contorno: la guerra tra le rispettive famiglie, gli amici di Romeo, i genitori di Giulietta e il frate.
Ci interroga su quanto questa storia sia anche nostra, su quanto sia quella degli attori che la interpretano, su per quanto tempo possa ancora sopravvivere a se stessa dopo averci accompagnati per così tanti anni.
CREDITI
di Babilonia Teatri
da William Shakespeare
con Paola Gassmann, Ugo Pagliai, Enrico Castellani, Valeria Raimondi, Francesco Scimemi e Luca Scotton
produzione Teatro Stabile Di Bolzano – Teatro Stabile Del Veneto
fotografie Eleonora Cavallo
Video promo
“… Ugo e Paola si fanno tramite di una ispirata e profonda riflessione sul ruolo dell’attore in una società, del teatro nella vita comunitaria.”
RASSEGNA STAMPA
Moon River, fiume della luna, mondo vagheggiato di altri mondi, vita di là dal confine, tempo progressivo che non ammette limiti. La sostanza dei sogni shakespeariani risuona dolcemente tra le note di questa canzone nota ai più per essere tra le labbra di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany (1961), divenuta poi un brano di culto per più di una generazione, così capace di interpretare il desiderio d’amore, la tensione verso il futuro, verso ciò che non è stato ancora e tanto si vorrebbe sia. Non è forse il tema musicale più adatto per risarcire di nuove speranze Romeo e Giulietta? Devono averlo pensato, chissà, i veronesi Valeria Raimondi ed Enrico Castellani, Babilonia Teatri, mentre preparavano la loro versione del capolavoro di William Shakespeare, presentata in anteprima per l’Estate Teatrale Veronese al Teatro Romano di Verona, città degli amanti, sfondo impossibile di un amore intriso di sangue, impedito di futuro.
Il teatro scende dalle più alte gradinate a semicerchio fino al palco, privo o quasi di fondale, animato proprio da un fiume alle spalle, l’Adige, che fa da cornice irripetibile alla storia, o meglio, alle storie: Romeo e Giulietta, giovani amanti della Verona cinquecentesca, si specchiano in una coppia di attori d’eccezione, Ugo Pagliai e Paola Gassman, addensati da un’esperienza di vita insieme e di teatro lunga 50 anni e, per la prima volta, alle prese con questi due personaggi cardine della storia teatrale di sempre. Il corto circuito che si esplicita al confronto dell’età tra i giovani personaggi e gli attori è il primo punto di interesse dell’opera, ideata da Babilonia Teatri come una sequenza di frammenti dal testo classico, da interpretare con linguaggi diversi – dalla prosa al playback musicale, dal circo all’aneddotica – e da discutere attraverso il meccanismo dell’intervista, che spezza l’opera nei suoi nodi cruciali con le domande poste agli attori direttamente da Castellani, regista mobile che interagisce in voce amplificata dalla platea.
La binomia tra attori e personaggi è, proprio in virtù del suo presentarsi come improbabile, particolarmente acuta nell’offrire una lezione di ciò che il teatro può innescare e alimentare nella vita di ognuno: dalle prime rappresentazioni con Luca Ronconi, più di tutte lo storico e innovativo Orlando Furioso (1969), fino ai racconti più personali sulle percezioni da dentro il palco, sulle difficoltà di interpretazione, sulle sfide cui la scena chiama volta per volta, Ugo e Paola si fanno tramite di una ispirata e profonda riflessione sul ruolo dell’attore in una società, del teatro nella vita comunitaria. Pagliai e Gassman, con una crescente sensazione che rimanda al Ginger e Fred di Federico Fellini, descrivono la propria relazione di vita in filigrana rispetto al teatro interpretato in tanti anni, si divertono e divertono il pubblico di certo disabituato a vederli in un contesto così sperimentale, in una scena spoglia che accoglie nella creazione anche i paramenti strutturali del montaggio, i momenti di apparente vuoto, i fuoriscena fintamente improvvisati, tutto ciò che pur non sembrando teatro, nell’accezione più classica, non può non esserlo nel momento in cui accade in teatro e, quindi, esprime una possibilità di lettura, di codifica, di acquisizione sensibile.
Nell’idea destrutturata di Babilonia Teatri, già Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2016, ogni elemento classico, talvolta stereotipato, finisce per essere ridiscusso nella forma e quindi nella funzione scenica; ecco dunque che il balcone è una struttura tubolare, la morte giovane emerge nel playback di una canzone di Sergio Endrigo, mentre la violenza serpeggiante tra le famiglie veronesi diventa un’estremizzazione comica, demandata a Francesco Scimeni con la collaborazione del terzo elemento della compagnia Luca Scotton, in cui i due attori sono bersaglio di un lanciatore di coltelli che poi si diletta in giochi di prestigio. La composizione frammentata e indefinita è un’operazione coraggiosa che, dopo questa anteprima all’aperto, finirà nel chiuso dei teatri e sarà curioso capire in quale forma; pur con tutti i rischi del caso, tuttavia, Babilonia Teatri dimostra una volta di più la volontà di avvicinare il pubblico al contesto artistico contemporaneo, affrontando schemi e preconcetti della prosa perché siano discussi attraverso un linguaggio del tutto nuovo.
Con il procedere dello spettacolo, come forse è naturale che sia, i due attori si fondono con i personaggi, nel loro dialogo iniziano ad apparire involontarie forme che rimandano alla vicenda; ma allo stesso tempo sono gli stessi Romeo e Giulietta che, in molti punti dell’opera, sembrano improvvisare giochi teatrali con i quali sussurrare il loro amore. L’Adige, sul fondo, sembra un altro personaggio, segue un corso tutto suo e soccorre il movimento della scena, procede senza mai fermarsi nonostante i morti, le violenze, l’odio, gli equivoci, i tradimenti; il fiume è il più violento di tutti, misconosce la vicenda perché di cose umane non si cura, glaciale fa il suo corso e ignora ogni occasione perduta. Questa, però, vuole essere una storia d’amore, a tal punto da inventare un sesto atto in cui Romeo e Giulietta, con le stesse parole di Shakespeare disperse già nell’opera, possano tornare in vita e celebrare il matrimonio di fronte a un ufficiale (un assessore del Comune di Verona, in questo caso), proprio come fossero loro, i personaggi, a fare teatro uscendo dal proprio testo universalmente noto. L’intimità dell’autobiografia degli attori, talvolta goliardica, prende questa identità stratificata e sovrapposta, è quello il momento del travaso completo e Pagliai e Gassman lasciano dunque a Romeo e Giulietta, nell’ultima scena, di farsi attori e raccontare il loro amore che (non) sarà stato.
Mixology è l’arte del miscelare. Miscele d’alcol per lo più. Quelle che di solito chiamiamo cocktail. Ma la mixologia non si applica solo al bere.
I maestri miscelatori amano ripetere che “ogni drink è una voce e racconta una storia”. Sarà allora vero anche l’inverso: che tutte le storie, anche quelle di teatro, nascono da mix particolari, originali, spesso inediti.
Vi parlo adesso del mix teatrale che mi sono trovato davanti l’altra sera, al Teatro romano di Verona, all’aperto, sulle pietre nude. Il debutto di un particolare, inedito Romeo e Giulietta nel cartellone shakespeariano dell’Estate Teatrale Veronese, diretta da quest’anno da Carlo Mangolini, mixologist teatrale della situazione.
Parliamo di ingredienti
Primo ingrediente, tradizionale: il sapore di base, un marchio di quelli solidi, che si portano dietro una storia leggendaria. Un po’ come il Campari. La coppia formata da Paola Gassman e Ugo Pagliai. Attori di lungo corso e nobili natali. Lei, tanto per dire, è figlia di Vittorio e Nora Ricci, e vanta ascendenze che vanno su su, fino a Renzo Ricci e Ermete Zacconi.
Il secondo ingrediente è invece contemporaneo, aromatico, contrastante. La ginger beer, per esempio. Enrico Castellani e Valeria Raimondi sono anche loro una coppia, titolari di una compagnia, Babilonia Teatri (vedi il loro sito), che ha segnato tappe importanti del teatro italiano recente . E un Leone d’argento alla Biennale Teatro 2016.
Infine, visto che siamo a Verona, visto che Shakespeare è di casa con i suoi due eterni amanti, Romeo e Giulietta come terzo ingrediente. Ma in purezza, distillato. Ne sentiremo solo i monologhi e i duetti più celebri.
Stir, do not shake
Certi cocktail è meglio non scuoterli troppo, una veloce girata e via…
Così, questo remake di Shakespeare non ripercorre per intero la romantica e tragica storia che abbiamo tante volte sentito. Azzarda invece un’operazione più semplice. O più complessa, se volete.
Entrare nel vissuto teatrale della prima coppia, quella matura, nella loro vita nell’arte. E farlo attraverso i formati teatrali della seconda coppia, più giovane, più post-drammatica. Formato visto, ad esempio, in un altro spettacolo di Babilonia, Pinocchio, in cui si usavano voce fuori campo e microfono come bisturi biografici. E con le domande stile intervista e con le risposte dei protagonisti veniva disegnata l’architettura dello spettacolo.
“Ugo, qual è stato il momento più pericoloso della tua carriera?” domanda Castellani all’inizio, dalla platea del Teatro romano. “Questo, questo!” risponde Pagliai dal palco.
È un gioco scoperto, perché un attimo prima lui e lei si erano trovati schiacciati contro una parete e un lanciatore di coltelli, nel primo e rischioso numero della serata, li aveva sfiorati con le sue lame. Impeccabile lui. Coraggiosi, ma pure preoccupati, loro.
Shakespeare’s greatest hits
Si sarebbe potuto leggere, in quel coup de théatre d’avvio, una certa cattiveria registica. Ma il lancio dei coltelli è giustificato da un testo come Romeo e Giulietta, dove le lame luccicano e i duelli abbondano. Giustificata anche la scelta dei greatest hits dell’opera (Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo, nella traduzione eccellentissima di Salvatore Quasimodo) per raccontare la storia d’amore di Ugo e Paola. Storia nata – come si scoprirà presto – nell’aver preso entrambi parte all’Orlando Furioso di Ronconi, la grande festa di un teatro nuovo, battezzato nel 1969.
Quasi che quell’anno fosse uno spartiacque. In effetti, lo è stato. Da una parte il canone recitativo dell’Accademia nazionale d’arte drammatica del dopoguerra. Le intonazioni, le impostazioni, la dizione espressiva, le pause, i crescendo di cui Pagliai e Gassman sono i detentori. Sull’altro versante, il buttato via, l’immediato, il quotidiano, lo slogan scandito, i graffiti della scena pop rock di Babilonia, nati e cresciuti in provincia. Un teatro sempre in bilico tra il cinico e la provocazione, di cui i veronesi Castellani e Raimondi sono fra i campioni.
Nozze d’oro?
Se si contano gli anni, dal 1969 a oggi, sono più di cinquanta quelli che hanno visto Pagliai e Gassman fare coppia e ditta. Infatti mano mano che il talk show va avanti, alternato ai brani shakespeariani, si comincia a capire quanto sia l’affetto che la coppia più giovane nutre per quella matura.
Con quanta cura li accompagnano in un questo decorso d’arte che prevede in successione: cavalli da giostra, dediche di canzoni, immaginari bagliori di spade, un balcone improvvisato, giochi di prestigio, bottiglioni con il veleno fatale. Anche un matrimonio – finto, per carità: siamo a teatro – perché Paola e Ugo, non sono sposati. È un assessore vero a celebrarlo, ma per finta.
Però, “Wherever you’re going, I’m going your way” (ovunque andrai, andrò con te) canta il Sinatra di Moon River e sarà tutto un volteggiar di lucciole nel finale, mentre Verona notturna e l’Adige sullo sfondo, fanno da naturale e ovvia scenografia. Applausi.
Questo per dire quanto sia sorprendente che i Babilonia, campioni di un teatro potentemente shakerato, alle prese con un cocktail romantico di amore e morte, sospiri e sfide, ce lo servano mescolato con delicatezza. Che in inglese si dice to stir.
Raccomandava James Bond, che di cocktail se ne intendeva: “Shaken, not stirred“. Ma non sempre James Bond ha ragione.
Uccidere i propri maestri è un’arte antica. Liberarsi del fardello di chi ha costruito prima per andare oltre è un momento quasi necessario, soprattutto per i nuovi grandi.
Se si trasporta questo concetto al teatro italiano le cose non cambiano, anzi peggiorano. Chi è stato grande, un tempo, è molto spesso vittima di sé stesso e della propria storia. Rischia quindi di cadere nel dimenticatoio, sparire o venir fatto sparire da una contemporaneità che incarna, talvolta, la voglia di “distruggere” come motore primordiale del proprio agire.
Ecco perché il “Romeo e Giulietta” di Babilonia Teatri è un’operazione etica prima ancora che teatrale.
Porta al suo interno, come pilastri fondamentali, tutto ciò che si “deve” distruggere. Innanzitutto c’è Verona, città dell’amore per cliché, contenitore, suo malgrado, della storia più famosa al mondo, scritta dall’autore più famoso del mondo. Portare in scena Shakespeare qui è come recitare Goldoni a Venezia ma senza riferimenti tangibili.
A Verona la letteratura ha vinto sulla storia e nessuno dei numerosissimi (anche oggi) turisti, che fanno la lunga fila per salire sul balcone di Giulietta, crederà mai alla verità: e cioè che è tutto finto, che quel balcone non è mai esistito, così come i due innamorati e i palazzi delle rispettive famiglie.
Poi ci sono Ugo Pagliai e Paola Gassman, inossidabile sodalizio umano e artistico, che resiste da oltre cinquant’anni. Monumento quasi più potente dei massicci gradoni che compongono il meraviglioso teatro romano, cornice tanto suggestiva quanto difficile perché piena di scorci meravigliosi, ad un passo dall’Adige che scorre senza sosta dietro il palco.
Una coppia che ha dietro di sé i miti del teatro italiano. Basti pensare che papà Vittorio, per Paola, è forse uno dei “parenti” meno importanti. Due artisti che, ancora oggi, passano le ore precedenti lo spettacolo in camerino a concentrarsi.
Pagliai viene dalla scuola di Orazio Costa, vocalità perfetta, diaframma, presenza scenica impeccabile, perché così si deve fare.
Ecco perché servono Babilonia Teatri. Enrico Castellani e Valeria Raimondi diventano per lo spettacolo un detonatore indispensabile e coerente. Sono una coppia, sono artisti di teatro, di Verona, ma “rock, pop, punk” come si sono da sempre definiti.
Il prodotto dell’unione di due estremi che ci sono sempre apparsi così distanti è qualcosa di nuovo e intelligente. E non è un caso che il neodirettore dell’Estate Teatrale Veronese sia Carlo Mangolini, certamente una delle figure chiave di questa “operazione”. Mangolini è infatti uno dei primi ad aver creduto in Babilonia Teatri e nel loro futuro, e questo spettacolo è un’ulteriore passo avanti.
In scena compaiono tutti e quattro, ma con “pesi” diversi. I senatori sono vestiti in abito da sera e abitano il palcoscenico per tutta la durata, mentre i più giovani salgono raramente. Preferiscono la platea, da dove, puntualmente, intervengono con il microfono ad interrompere il gioco, fermare il carillon per far collimare costantemente la vicenda con la vita dei due interpreti.
E così Paola e Ugo, piano piano, scostano dal volto la maschera del grande personaggio per svelare, con tenerezza, quella dell’interprete.
Ci si aspetterebbe una distruzione totale e invece, con stupore, si resta colpiti dalla delicatezza quasi devozionale con cui Babilonia Teatri si relazionano ad un mondo talmente lontano da diventare vicino.
Gli elementi aggiuntivi sono pochissimi: Pagliai e Gassman diventano a tratti scenografia, gigantografia, colonna sonora di loro stessi e di una storia personale paradossalmente più “interessante” di quella shakespeariana. Regolarmente interrotti nel loro “bel recitare”, compiono un quasi inconsapevole excursus della propria vita.
Romeo e Giulietta sono quindi il pretesto, Verona il contenitore patinato, i cognomi importanti lo strumento per qualcosa di più alto e attuale rispetto all’ennesima messa in scena di un capolavoro. Che infatti non avviene.
Rimane però altro. La voglia di fare i conti con chi c’era prima e c’è ancora, il riportare davanti allo spettatore una bellezza antica con canoni espressivi estremamente contemporanei. E rimane anche il coraggio. Dei senatori di farsi strumento di una poetica forse distante; di Babilonia Teatri d’aver iniziato un percorso nuovo su come trattare la classicità.
Ci hanno provato a convincerli. Ma senza riuscirci. I due celebri amanti di Verona shakespeariani non vedevano l’ora di sposarsi; questi loro interpreti, senior quanto basta da aver attraversato gli ultimi cinquanta anni del teatro italiano, un po’ meno.
Il paradosso è che Ugo Pagliai e Paola Gassman, storica coppia della scena nazionale conosciutasi nell’allestimento dell’Orlando Furioso di Ronconi, non ha mai interpretato in cinquanta anni gli storici personaggi di Romeo e Giulietta.
«Ero troppo alta», dice la Gassman, in uno degli intermezzi dello spettacolo-intervista affidato alla regia di Babilonia Teatri, ovvero l’altra coppia formata da Enrico Castellani e Valeria Raimondi.
Due coppie nella vita e sulla scena, un salto generazionale importante quello che separa gli interpreti e i registi (invero anche loro presenti nel meccanismo spettacolare) per un allestimento fra i più curiosi di questa edizione dell’Estate Teatrale Veronese sotto la nuova direzione artistica affidata a Carlo Mangolini.
Nata nel 1948 per volontà del Comune di Verona per rendere omaggio a William Shakespeare e sottolinearne il legame con la città scaligera, la rassegna si conferma appuntamento imprescindibile nel panorama culturale nazionale.
«Dal momento che quest’anno le norme del distanziamento sociale non ci consentono di mettere in scena i grandi allestimenti shakespeariani – precisa il direttore artistico – abbiamo chiesto agli artisti invitati al festival di rivisitare alcuni testi, offrendo inedite chiavi di lettura a titoli simbolo del teatro di tutti di tempi. Romeo e Giulietta, Re Lear, Amleto e Macbeth tornano pertanto sul palco del Teatro Romano sotto una nuova luce grazie alle riscritture di Babilonia Teatri, Melania Mazzucco, Steven Berkoff con Fanny & Alexander. Ma anche grazie alle inaspettate interpretazioni di Ugo Pagliai con Paola Gassman, Vanessa Scalera, Chiara Francini con Andrea Argentieri e Sergio Rubini».
Il festival come noto propone da sempre un dialogo con i classici, quelli shakespeariani in primo luogo, e questa edizione affidata alla cura di Mangolini punta ancor più a mettere in relazione il classico con il contemporaneo e l’incontro fra i quattro protagonisti della scena italiana di cui stiamo dicendo, conferma l’intenzione di creare corto circuiti, di mettere a confronto, di favorire giustapposizioni. Nell’edizione del 1948 lo stesso spettacolo andò in scena il 30 luglio con la regia di Renato Simoni e Giorgio Strehler con Romeo interpretato da Giorgio De Lullo, e Giulietta da Edda Albertini.
La regia sceglie di abbattere i fondali del palco del teatro romano di Verona in modo da permettere alla città stessa, naturale ambientazione del dramma shakespeariano di fare da sfondo.
Certo non è più la Verona silenziosa e senza traffico dei tempi del grande drammaturgo, e così un po’ la fruizione, soprattutto di chi è posizionato in alto nelle gradinate, viene un po’ contaminata dal passare di autobus, motorini e qualche ambulanza.
Ciò nonostante il racconto inizia con la giusta palpitazione per i destini della coppia. Non di quella letteraria, le cui tristi vicende sono note, ma di quella degli interpreti, cui il duo registico chiede un impegno emotivo non banale sottoponendoli ad inizio spettacolo ad una prova al cardiopalmo.
«È la cosa più rischiosa che ho fatto in vita mia» dice poco dopo Pagliai, quasi quanto portare in giro i giganteschi cavalli del famoso spettacolo ronconiano.
Al di là del rimando ai cavalli mobili dell’Orlando Furioso, che diventano in questo allestimento cavallucci da giostra portati in giro per la scena da intepreti e comparse, lo spettacolo consiste in un’alternanza fra momenti in cui la maggiore delle due coppie viene intervistata da quella anagraficamente più giovane, e momenti in cui i due interpreti anziani danno vita, con una tenerezza tutta loro, che ovviamente attribuisce altre caratteristiche di senso al testo, i più celebri duetti fra i due amanti di Verona. La costruzione drammaturgica, come anche nelle tragedie di Shakespeare, viene intervallata da una presenza giullaresca, un lanciatore di coltelli, prestigiatore e altro, che di tanto in tanto interviene, talvolta in forma onestamente assai accessoria, nell’incedere della creazione.
Povera è la scenografia, con una balconata che diventa impalcatura ferrea, un muro di legno a fare da fondale mobile, le sedie e i cavallucci da giostra.
La giostra della vita avanza inesorabile fra memorie, avventure, vita di coppia. Come resistere tanti anni fra palcoscenico e vita?
Ma, a proposito, Ugo e Paola: Siete sposati?
Il duo Castellani Raimondi cerca in tutti modi di convincere i due attori esperti a contrarre matrimonio vero, ma la loro opposizione è ferrea. Se s’ha da fare, si farà solo nella finzione scenica.
E così alla presenza di un vero assessore (ma senza fascia) viene celebrato un finto matrimonio.
In fondo è il gioco a cui si gioca per tutta la creazione, il bordo fra vita vissuta e finzione della scena, fra concretezza dell’esistere e dimensione fantastica che il teatro è capace di regalare ai suoi interpreti, la cui presenza resta quasi come fantasmatica anche dopo la morte, dicono i due grandi frequentatori di camerini, ricordando una frase di Eduardo e raccontando delle tante volte in cui queste presenze spiritiche sono diventate per loro quasi sensibili nella solitudine dei teatri.
Il post mortem d’altronde è proprio il modo in cui lo spettacolo inizia, con l’invenzione di un ipotetico atto aggiuntivo, creato ad hoc riutilizzando le parole del Bardo, e che racconta dell’incontro delle due anime degli amanti veronesi che si ritrovano nell’aldilà una volta morti: uno struggimento che ambienta e intona il lavoro in questa consapevolezza di maturità anagrafica, vita, amore e passione, morte, sogno e unione.
Cosa c’è dopo? Chi lo sà.
I due tornano a fine lavoro nell’ipotetico al di là in cui li avevamo trovati, come anime dantesche, correndo dietro a lucciole intermittenti che sembrano raccogliere con le mani, inseguendole nel buio.
Audace, sferzante, originale e anche un po’ pericoloso. È l’adattamento della più famosa storia d’amore del teatro di tutti i tempi, ad’opera dei pluripremiati Babilonia Teatri. Romeo e Giulietta prendono vita nuovamente nel cuore di quella Verona che gli appartiene per definizione drammaturgica, nei panni di due mostri sacri del teatro di tradizione italiano.
Ugo Pagliai e Paola Gassmann si prestano a questo divertente e anche coraggioso gioco meta teatrale che li vede protagonisti in prima nazionale al Teatro Romano in una coproduzione fra il Teatro Stabile di Bolzano e il Teatro Stabile del Veneto.
Romeo e Giulietta: assonanze e rottura degli schemi
Un adattamento azzardato, quello inserito nel prestigioso cartellone dell’Estate Teatrale Veronese, sotto la nuova guida artistica di Carlo Mangolini. Sempre attento al rapporto con i grandi classici, il festival di quest’anno, dovendo rinunciare a grandi allestimenti per via delle norme sul distanziamento sociale, ha chiesto agli artisti invitati di rivisitare alcuni testi “offrendo inedite chiavi di lettura a titoli simbolo del teatro di tutti i tempi”.
Frutto del connubio fra tradizione e innovazione è sicuramente lo spettacolo in oggetto, dove il dramma shakespeariano viene ridotto all’osso per restituire al pubblico la centralità dei protagonisti. Romeo e Giulietta, Ugo Pagliai e Paola Gassmann. Giovane coppia innamorata una, unita da più di cinquant’anni l’altra, portano in scena i dialoghi cardine dell’opera nella traduzione di Salvatore Quasimodo, in una dolcezza intrisa di una poeticità unica.
Realtà e finzione non hanno confini, come usanza dei Babilonia Teatri, ossia Enrico Castellani e Valeria Raimondi, che intervallano la messa in scena con interviste (personalissime) agli attori, didascalie per raccontare scene povere di scenografie e orpelli vari, indicazioni registiche e canzoni in playback.
Una messa in scena al cardiopalma
Ma Romeo e Giulietta è prima di tutto una storia di dolore e morte, un dramma che si consuma nelle pieghe dell’odio che impazza fra le due famiglie, irrimediabilmente schierate l’una contro l’altra.
“Sentivamo sulla pelle l’angoscia che percorre l’intera vicenda e avevamo una sola immagine in grado di ricreare quella stessa angoscia: un lanciatore di coltelli. Romeo e Giulietta per noi sono come una persona-bersaglio pronta a ricevere i lanci di un lanciatore di coltelli.” Babilonia Teatri
“Due persone possono serbare un segreto se soltanto una lo conosce”
Coraggiosamente e stoicamente, Pagliai e Gassmann “affrontano” questa iniziale prova di coraggio non sottraendosi poi ad una messa in scena che li vede unici protagonisti, sovrani incontrastati di un palcoscenico che si apre su Verona tutta, restituendo romanticamente il lento fluire dell’Adige su cui si specchiano i lampioni, mostrando campanili illuminati (e anche un po’ di traffico).
Eleganti e fieri nei loro abiti da cerimonia, visibilmente emozionati, i due interpretano la vicenda d’amore più famosa di tutti i tempi con la felicità di chi non ha mai (incredibilmente) interpretato quei ruoli, con la sicurezza di chi ha sulle spalle oltre mezzo secolo di carriera, con la spontaneità di chi sta insieme da una vita e dell’altro conosce tutti i più profondi segreti, sul palco e non.
Mi sono innamorato di te
perché non avevo niente da fare
di giorno volevo qualcuno da incontrare
la notte volevo qualcosa da sognare.
Luigi Tenco
Solo la scorrettezza geniale di Babilonia Teatri, Enrico Castellani e Valeria Raimondi poteva permettersi di stupire gli irriducibili sulla credenza che la messa in scena di “Romeo e Giulietta” fosse oramai esautorata, soprattutto a Verona. E cosa potevano fare di altrettanto incredibile? Chiamare Ugo Pagliai e Paola Gassman, coppia di fatto da oltre 50 anni, che ci ricordano come solo i più grandi attori teatrali possano arrivare ad un punto della carriera in cui permettersi di giocare, di lasciarsi trasportare da una regia che si muove sicura tra il classicismo, l’innovazione e l’accenno al trash.
L’Estate Teatrale Veronese non delude mai, garantisce sempre alta qualità e coraggio nel proporre un calendario vario e attuale, incorniciato da un eterno Teatro Romano. Questa Prima Nazionale, andata in scena l’11 settembre, coproduzione Teatro Stabile di Bolzano e Teatro Stabile del Veneto, è una sorpresa accattivante e potente, testo di Shakespeare dalla traduzione di Salvatore Quasimodo.
Diciamolo. Le opere di William Shakespeare non si possono riscrivere o travolgere ma si possono raccontare in modi diversi. Qui viene dato un primo piano potente sui protagonisti, tutto il resto scompare. E la bellezza è trovare sul palco un uomo e una donna che risultano credibili nel raccontare un vero amore, la storia viene spezzata e viene a mancare la facile linea della fruizione all’ascolto. È una regia anarchica che spezza il ritmo e l’incantesimo, cattura lo spettatore e lo affronta a scena aperta. Le scelte musicali sono altisonanti e assolutamente perfette, non si può scappare dalla profonda commozione che suscitano. L’inserimento del lanciatore di coltelli, un esilarante Francesco Scimemi, è quel coup de théatre che mai ti aspetteresti, capace di narrare in pochi secondi una tragedia, che ti fa percepire e capire un’intera vicenda.
O Romeo! Romeo! Perché tu sei Romeo?
Rinnega dunque tuo padre e rifiuta quel nome,
o se non vuoi, legati al mio amore
e più non sarò una Capuleti.
William Shakespeare
Il racconto autobiografico di Pagliai e della Gassman prosegue trasversale e permette al pubblico di scoprire le loro paure, desideri, curiosità. Una recitazione altisonante e perfetta su un palco vuoto, che ci svelano credere sia abitato perennemente dai fantasmi.
Un erotismo magnetico e carnale si fa audace nel talamo nuziale dei due innamorati, fino alla scena finale: le parole sono ora viscerali, penetrano l’inellutabile destinata morte e tutto si chiude con la più commovente delle carezze che solo la purezza e la verità del teatro possono dare.