OK BOOMER

anche io sono uno stronzo

Il testo nasce da un fatto vero: io cerco sempre di fare cose che nascono da fatti che mi riguardano e tanti anni fa mia madre lavorava per una catena di negozi di sport, dove il sabato praticamente tutti quelli che entravano venivano solo a rubare e nessuno comprava niente. Da questo fatto ho scritto questo testo che parla del consumismo, del capitalismo e anche del ruolo delle persone giovani che hanno poca voce”. Nicolò Sordo

Babilonia Teatri incontra una scrittura affine al suo modo di guardare il mondo e di raccontarne le sue contraddizioni. Una modalità che non fa sconti a nessuno e che non sale in cattedra per dividere i buoni dai cattivi, ma affonda mani e piedi nei paradossi che ci circondano e che incarniamo. Lo spettacolo vede in scena l’autore del testo che, entrando e uscendo dalla narrazione della vicenda, giocherà con la sua creatura mettendone a nudo i meccanismi e sovrapponendo allo svolgersi dei fatti la sua biografia e le sue riflessioni. La narrazione procede a singhiozzo, in modo frammentato e prende forma sia attraverso la voce degli attori sia attraverso la costruzione di immagini e azioni sceniche in grado di fare da contraltare al racconto verbale.

Ok boomer racconta il sabato pomeriggio in un negozio di articoli sportivi di un centro commerciale, dove ladruncoli di ogni genere prendono d’assalto tutto ciò che gli capita a tiro.

Un ragazzino, beccato a rubare un paio di Nike Air, porta accidentalmente alla luce una realtà ben più torbida che si cela nel seminterrato del negozio: un laboratorio dove lavorano persone sfruttate ridotte in schiavitù.

Un manipolo di eroi improvvisati cerca disperatamente di salvarli, ma solo per salvare sé stessi e le proprie esistenze mediocri.

Una finta lotta al capitale, un rimpallo di colpe tra boomers che immancabilmente scaricano la responsabilità del loro ennesimo fallimento sul ragazzino adolescente.

NOTE DI REGIA

Ok boomer. Anch’io sono uno stronzo per noi non è uno spettacolo che affronta i temi del consumismo. Né quelli del divario tra nord e sud del mondo. Nè parla di uno scontro generazionale.

Meglio, parla di tutto questo, ma non solo. Va oltre. Va al di là.
Sono tre grandi immagini che reggono e danno forma allo spettacolo.
Tre immagini spostate, non narrative. Tre immagini che parlano del testo senza raccontarlo. Come il testo sono tragiche e ironiche allo stesso tempo. Perchè quella che raccontiamo è la tragedia della nostra vita ma che ci è così vicina e cara da trovarla insopportabile e tenera assieme. Le luci, gli elementi scenici e i corpi degli attori dipingono uno spazio metropolitano e mefistofelico, popolato da due moderni Vladimiro ed Estragone con corpi nudi pietrificati da luci al neon che vivono in attesa di un paio di Nike. Icona pop per eccellenza, la Nike Air Jordan, diventa il nostro pasto eucaristico, il nostro rito di eternità e dietro a una proibita saracinesca le luci debordano seducendoci e ipnotizzandoci.

Abbiamo lavorato a un adattamento del testo e ad una messa in scena in grado di raccontare un’assenza di prospettiva.

Una desertificazione in cui avere come orizzonte ultimo da raggiungere un paio di scarpe, smette di essere espressione di un vuoto, per diventare forse l’unica prospettiva davvero possibile, per trovare un senso al proprio vivere. I personaggi vengono ridotti ai loro nomi, a cui i due attori sulla scena danno voce, e l’io narrante si sdoppia, per esprimere quanto la sua storia non sia solo una vicenda personale, ma una fotografia di uno stato d’animo e di un tempo, il nostro, in cui la terra sembra sgretolarsi sotto i nostri piedi giorno per giorno.

I dialoghi sono stati compressi e resi serrati e ininterrotti, un unico flusso in cui le parole sembrano svuotarsi dei loro significati e in cui il plot della vicenda cede il passo all’incalzare delle parole per farle diventare suono, grido, rumore.

I monologhi dall’altra parte si sono distesi oltre una durata che stesse nei termini della misura e dell’educazione per esprimere il fardello di un futuro che, per quanto debba ancora essere vissuto, pesa già sulle spalle. La realtà non è più rappresentabile, per rappresentarla va deformata, ingrandita sotto una lente per renderla maggiormente evidente: è come se, solo deformandola ulteriormente, fosse possibile rendere visibile le sue deformità.

Babilonia Teatri

CREDITI

di Nicolò Sordo
regia, scene, interventi drammaturgici Enrico Castellani, Valeria Raimondi Babilonia Teatri
con Nicolò Sordo, Filippo Quezel
coproduzione La Piccionaia Centro di Produzione Teatrale, Fondazione Sipario Toscana, Roma Europa Festival

testo vincitore 14° PREMIO RICCIONE “PIER VITTORIO TONDELLI” 2021 – in coproduzione con Riccione Teatro

foto Eleonora Cavallo

“un testo commovente, ironico, spiazzante”

14° Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli”

RASSEGNA STAMPA

“Fare teatro è un po’ come andare in giro con una macchina d’epoca”. Con la semplicità di poche parole efficaci, Nicolò Sordo – autore, attore e drammaturgo – tenta di risolvere un caso difficile. Quello della relazione (o non relazione) tra la dimensione teatrale con i nostri tempi, facili o difficili che siano. Serve ancora il teatro, dunque?
Partendo dal presupposto di voler lasciare senza risposta una domanda ad alto rischio di astrattezza, abbiamo condotto il nostro interlocutore in un luogo insolito, una escape room, operando una decontestualizzazione del rituale dell’intervista. Lì, in una stanza dove gli adulti giocano a risolvere degli enigmi, per fuggire e ritornare in libertà, è accaduto qualcosa.

Ne è consapevole Nicolò Sordo, il quale ha accettato la sfida e l’invito perché è uno di quegli autori under 35 che i vecchi presentatori televisivi avrebbero lanciato come “una giovane promessa di cui sentirete molto parlare”. Ed effettivamente questo è stato un periodo fecondo per lui, caratterizzato dalla vittoria del 14° Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli” con il testo “Ok Boomer. Anche io sono uno stronzo” (di cui pubblichiamo, su gentile concessione dell’autore, il testo integrale al fondo di questo articolo), considerato dalla giuria che lo ha selezionato “un testo commovente, ironico, spiazzante”.

A novembre è seguito il debutto ad Anni Luce – Situazione Drammatica, nell’ambito di Romaeuropa Festival. Un mese dopo circa, Sordo è andato in scena con “Dissipatio F.G.” – diretto da Tommaso Rossi – al teatro Camploy di Verona, un omaggio-manifesto a Fabio Gariba, artista veronese scomparso nel 2016. «Fare “Dissipatio F.G.” è stato più o meno un piacere. Il fantasma di Fabio ci è stato col fiato sul collo per tutta la durata delle prove e ci ha investito con tutte le sue incazzature. Ci ha spinto a interrogarci su un sacco di cose, su questo mondo monopolizzato dai vecchi, nell’arte come in tutto il resto».

La carriera di Sordo è caratterizzata da molteplici esperienze ed è iniziata scrivendo racconti. Il primo è del 2007, “Narrerò da me”, l’ultimo è “Col Angeles”, firmato con lo pseudonimo di Niki Neve. Il 2014 è l’anno del diploma presso l’Accademia Teatrale Veneta, dove ha l’opportunità di avvicinarsi alla scrittura di scena. Con “Tajarse Fora” ha vinto nel 2014 il premio di drammaturgia per i corti teatrali in lingua veneta. Un anno dopo, il suo testo “Camminatori della patente ubriaca” si è aggiudicato NdN Network, grazie al quale è andato in tournée ed è stato ospite del Festival Tramedautore del Piccolo Teatro di Milano.

Di interviste avvenute in luoghi strani Niccolò Sordo ne ricorda tre in particolare. Una a 14 anni: «Nel giardino di casa mia, con l’orto, le sedie e il tavolo bianco da esterno. Avevo appena pubblicato la mia prima raccolta di racconti e una giornalista, incuriosita, era venuta a intervistarmi. Non avevo mai visto un giornalista dal vivo, solo in tv».
Un’altra avvenne in chiesa, addirittura qualche anno prima: «Un prete mi aveva intervistato a lungo per capire se avessi una vocazione religiosa e se potessi essere tagliato per il seminario. Dopo lunghe riflessioni, ha capito di aver preso un abbaglio. Stessa sorte era toccata a mio zio, poco meno di vent’anni prima. Anche su di lui si erano sbagliati».
La terza e ultima è quella avvenuta in una escape room. «Non ne avevo mai vista una dal vivo. Sono dei posti che hanno un certo fascino, perché non li capisco. La mia vita è già piena di stanze da cui non faccio altro che fuggire».

[…] L’ultimo, Niccolò Sordo è un ragazzo di 29 anni che ha scritto Ok boomer (Anch’io sono uno stronzo). È il vincitore del premio Pier Vittorio Tondelli e mi è piaciuto molto perché la sua forza sta nel fatto che è un autore giovane e contemporaneo; lui si descrive e ci restituisce come ragionano i ragazzi di questo tempo che stanno sui social, vivono le loro prime esperienze amorose molto spesso chattando e trascorrono molto tempo a guardare i video anziché leggere un libro. Secondo me sordo ha il dono di riuscire a scrivere a raccontare questa generazione, la sua è una scrittura molto interessante che per noi “boomer” disvela la realtà attuale.

La sua storia parla di un ragazzo che è anche la voce narrante del testo e che va a rubare in un centro commerciale delle Nike Air. Si rende conto che in quel negozio di scarpe di un centro commerciale ogni sabato pomeriggio si riuniscono tantissimi personaggi che vanno lì per rubare. È la metafora di una società che non aspetta altro che andare a rubare in un giorno preciso, in un luogo preciso come se fosse un’attitudine naturale. Questi sono i quattro testi che abbiamo portato e ognuno di essi, a modo suo, è piccolo capolavoro perché racconta  parti diverse di questo momento storico che stiamo vivendo.

Ancora in occasione di Situazione drammatica è stato letto OK BOOMER (Anch’io sono uno stronzo) di Nicolò Sordo, premio Tondelli sul palco riccionese. Sordo, classe ’92, è per formazione attore-autore: OK BOOMER è infatti abitato da personaggi incredibilmente vividi, tratteggiati nei particolari corporei secondo una sorta di chiassosa, ironica tassonomia post-umana di questo nostro capitalismo avanzato – troppo avanzato, fino a superare sé stesso incancrenendosi, rivelandoci il proprio rimosso, il mondo sotterraneo che lo sostanzia e lo rende (im)possibile. Sordo intercetta questa dualità nella surreale immagine-cortocircuito di un paio di Nike Air, vendute in un coloratissimo negozio di un centro commerciale del nord Italia, nello scantinato del quale si nasconde un laboratorio clandestino di immigrati celati dal segreto unanime dell’inquietante comunità dei dipendenti: “bangla fantasmali rinchiusi in un “sotto” senza nome, che è il sotto e il dietro del mondo: quello che tutti facciamo finta di non vedere” riassume la giuria.  Voce narrante e chiosante la vicenda, un adolescente infatuato delle iconiche sneakers americane, quanto consapevole (fin troppo consapevole) della natura effimera e pretestuosa del desiderio di consumo, surrogato sessuale di una vita subalterna, alla periferia delle emozioni e delle relazioni. Tanto quanto quello di Pisano, l’immaginario di Sordo è abitato da un’indefinita presenza straniante e straziante. L’uno e l’altro testo sublimano le nostre paure, facendo leva su atmosfere marcatamente cinematografiche o letterarie di ascendenza fantascientifica. Echi di Philip K. Dick, S. Lem, A. Tarkovskij, J. VanderMeer nella scrittura di Pisano; quasi tarantiniani gli accenti di OK BOOMER, ma con tratti fiabeschi e noir, da Charles Perrault a Luigi Malerba.